Guido Clemente di San Luca a TN: "Provo a spiegarvi le ragioni della rabbia dei tifosi"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha provato a spiegare il malumore di una parte dei tifosi in questa calda estate.
Provo ad offrire una spiegazione delle ragioni del ‘dolore’ azzurro. E quindi anche del mio ‘dolore’ (ben consapevole che si tratta di materia assolutamente ludica e voluttuaria, ché i dolori veri sono ben altra cosa). La linea seguita da AdL ha generato una grave frattura nel tifo partenopeo, la stragrande maggioranza del quale però – sia chiaro – ha finito ormai per arrivare a detestarlo. La ragione principale sta nella maniera di risolvere la diaspora interiore che si è inesorabilmente determinata: chi, identificando la nostra antropologia, è più esponenziale della maglia, i giocatori, oppure il presidente e l’attuale allenatore?
Come ha scritto in privato un amico fraterno, «non vorrei farmi fo**ere dall’odio per il ‘pappone’. La maglia è sempre la maglia». Ma appunto il problema è proprio questo. Devo rinunciare all’amore per i calciatori che hanno per anni ben rappresentato la maglia, perché questa si deve considerare confusa col Presidente? Chi sono, e perché, i veri e legittimi protagonisti della nostra ‘malatìa’? A voler seguire la minoranza ‘governista’, il Napoli sta completando «il processo di rifondazione della squadra». Secondo tale opinione, il calcio moderno sarebbe «senza bandiere e capitani coraggiosi». Ma allora io mi domando: se fosse vero, quale sarebbe più la ragione della malatìa?
Un merito va riconosciuto a chi professa questo credo. Di non mistificare la realtà, e mettere a nudo apertamente il disegno in atto: «La bonifica dello spogliatoio». Il punto critico, però, sta nella individuazione delle cause che giustificherebbero tale operazione. Il «condizionamento dei compagni» da parte dei più autorevoli è tipico di ogni spogliatoio (così come di ogni realtà sociale). Bisogna stabilire se detto condizionamento sia, oppur no, indirizzato verso una causa giusta. Ebbene, non è vero che esso si sia risolto soltanto in negativo, nel fatto cioè che quei giocatori non abbiano dato «nei momenti opportuni quel contributo di ‘cazzimma’ che trasforma una buona squadra in una grande squadra». Perché, in positivo, si sono sempre battuti con onore e abnegazione per portare in alto la maglia azzurra. Chi ne capisce sa che nello sport quella di battersi per un colore è assunzione di una obbligazione di mezzi, non di risultati! Ché questi dipendono da tante cose diverse.
Non saranno stati «uomini di forte personalità», ma le responsabilità per non esser stati capaci di vincere sono imputabili soprattutto ad altro. Nel 2018, palesemente, a quello che (con toni giustificazionisti del sistema malato) viene riduttivamente qualificato con la locuzione «torti arbitrali» (nella effettività, clamorose e gravissime illegittimità). E lo scorso anno, alla evidente insipienza di un allenatore tanto ‘fintamente’ azzurro quanto incapace di capire lo spogliatoio e le partite decisive. Senza contare le croniche assenze societarie. Poi, certo, è mancato pure il kairos. Diversamente, dunque, io avrei chiesto, non ai giocatori, ma a Spalletti (ed in realtà l’ho fatto tempestivamente) dove fosse «contro l’Empoli, la Roma e la Fiorentina». Altro che fidarsi della sua «leadership»!
Non è vero che nell’ultima fase sia mancata «l’amalgama fra i senatori dello spogliatoio e i giovani valenti arrivati». Gli «attriti ed equivoci» sono stati generati da una poco assennata gestione dello spogliatoio, accompagnata da una pessima comunicazione, fatta essenzialmente di racconti farisaici. È stato questo a provocare lo «scollamento fra squadra, società e tifosi». Non certo il comportamento di Kalidou e Dries (o Insigne, o Ghoulam)!
La prova di quanto affermato sta nel leggere senza preconcetti l’intervista rilasciata da AdL a Kiss Kiss Napoli: vi si rinviene la definitiva conferma della sua distanza siderale da Napoli e dai tifosi azzurri. Avevo invano sperato in un gesto alla fine intelligente, confidando nell’interesse personale del Presidente. Registro, sgomento, che invece è ormai evidentemente votato ad un inspiegabile autolesionismo. Anzitutto, quella non può tecnicamente definirsi una intervista. Lo sarebbe solo nei paesi totalitari. Si tratta, invece, chiaramente di propaganda, e per giunta della peggior specie, giacché il merito è percepito dai più come non veritiero. A seguire i perché.
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