Guido Clemente di San Luca a TN sugli arbitri: "La scorretta applicazione delle regole"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha analizzato la questione arbitrale.
"Torno a proporre una (breve!) riflessione sulla non corretta applicazione del Regolamento. Non mi rassegno. Bisogna combattere la buona battaglia per salvarlo da chi lo tradisce e da chi – incredibilmente! – propugna il suo tradimento. Da un lato, il ‘sistema’ arbitrale, e, dall’altro, parte cospicua dei commentatori: giornalisti, ex allenatori, ex calciatori, ex arbitri. Tutti ad esibire, durante le partite e nei salotti televisivi, un inspiegabile invito a ‘lasciar correre’ sulle violazioni delle regole del gioco, per favorirne la velocizzazione.
È avvilente, perché non si capisce (o si finge di non capire) che, così facendo, la valutazione se lasciar correre o no su un intervento falloso, e dunque se garantire o no il rispetto della regola, viene rimessa nelle mani esclusive dell’arbitro. Il che significa consegnarsi ad un potere di decidere arbitrario (non arbitrale!), perché libero (come diventa) – e dunque scollegato – dalla prescrizione normativa stabilita dal Regolamento. In buona sostanza, significa negare il primato della legalità.
È possibile auspicare che, al fine di agevolare lo sviluppo dell’economia, il danaro sporco alimenti le aziende (addirittura incitando in tal senso l’opinione pubblica)? Se un siffatto ragionare appare impensabile, perché mai si dovrebbe poter spingere affinché si ‘lasci giocare’ senza sanzionare i falli, allo scopo di rendere il gioco più fluido? Certo, il parallelismo può sembrare un po’ forte. Ma è efficace. Come in generale si deve combattere la delinquenza, così nel calcio bisogna impedire la violazione delle regole e favorire il rispetto della legalità circoscrivendo l’arbitrio.
In questa direzione il VAR ha un ruolo fondamentale. Ed invero ha notevolmente ridotto la percentuale degli ‘errori’, che nel passato hanno generato risultati falsati. In modo spesso eclatante! Secondo l’ex designatore Rizzoli (intervista al Quotidiano Nazionale), la percentuale sarebbe oggi fra l’1 ed il 2 %, a fronte del 6-7 % di prima. Eppure basta il suo uso talora inappropriato – in alcune circostanze francamente incomprensibile (se non richiamando la frode) – per riaprire le polemiche sulla sua istituzione. Polemiche del tutto pretestuose, perché l’introduzione dell’assistenza video ha indiscutibilmente contribuito a migliorare molto il rispetto delle regole nel vigilare sul gioco.
Se c’è da avanzare una critica, ebbene deve essere nella prospettiva di aumentare l’efficacia dello strumento, non certo di tornare al passato. In proposito il VAR – sia pur nelle circoscritte ipotesi stabilite – deve sempre intervenire laddove ravvisi una ‘anomalia’. Che non possa farlo perché deve prevalere la valutazione di campo dell’arbitro costituisce una vera e propria ‘invenzione’ regolamentare. Propinarla (e cioè affermare che il VAR non possa intervenire laddove l’arbitro abbia visto e valutato l’episodio) è a dir poco biasimevole. Viene di chiedersi in virtù di quale soprannaturale capacità divinatoria il VAR dovrebbe essere in grado di sapere se l’arbitro abbia visto e valutato correttamente l’episodio. La funzione dello strumento è esattamente questa: porre rimedio ad una eventuale svista. Il fatto che spetti all’arbitro l’ultima parola nella valutazione di un fallo (e nella conseguente decisione sanzionatoria) non inibisce affatto l’intervento del VAR. Né deve condizionarlo. Una volta infatti che – nelle limitate fattispecie previste – rinvenga dubbi su un determinato episodio, il VAR deve richiamare l’arbitro a rivederlo, affinché questi possa decidere con piena compiutezza degli elementi disponibili, assumendosi la piena responsabilità della valutazione.
Gli errori non si possono eliminare del tutto. Perché ad operare, alla fine, è sempre un essere umano, cui spetta inevitabilmente la interpretazione del fatto. Ma non è così laddove si giustifichi arbitrariamente un mancato intervento, o un intervento sbagliato. Alcuni esempi recenti di uso improprio o cattivo. A cominciare da quello clamoroso ai danni della Juventus contro la Salernitana. Se si danno per buone le spiegazioni offerte (che, al momento della valutazione, non disponevano di tutte le immagini), si può soltanto prendere atto di una gravissima e insopportabile inefficienza. Su quella decisione i non colorati sono stati, senza alcun dubbio, illegittimamente penalizzati.
Ma non si può sottacere che in quella stessa partita, pochi minuti prima, il VAR omise di richiamare l’arbitro a rivedere l’azione del pareggio, viziata da un evidente fallo. Non molto dissimile da quello subìto dal difensore della Fiorentina Martinez Quarta, da parte di Kasius, nel secondo gol del Bologna. Per non parlare dei due clamorosi rigori negati al Lecce contro il Monza. E così via. In tutti questi casi (benché molto ridotti rispetto al passato, ce ne sono ancora troppi!) si fatica a rinvenire una spiegazione plausibile. E non di rado si fa consistente il dubbio di frode sportiva.
Per vincere il campionato – non dimentichiamocelo mai – ci vogliono tre cose: una squadra forte (e ce l’abbiamo); una buona dose di kairos (e fin qui pare ci assista, se è vero che alcune discutibili decisioni tecnico-tattiche del mister non hanno avuto conseguenze nefaste); ed infine, forse soprattutto, una competizione regolare, in cui si debbano sopportare soltanto errori ed interpretazioni fisiologicamente accettabili".
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