Guido Clemente di San Luca: "Un rigore su Elmas è diventato fallo di Malcuit! Tollerati dieci falli sistematici dell'Atalanta"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni sulla questione arbitrale.

08.12.2021 10:10 di Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca: "Un rigore su Elmas è diventato fallo di Malcuit! Tollerati dieci falli sistematici dell'Atalanta"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni sulla questione arbitrale.

"Prima della partita prevedevo che avremmo perso, e pure malamente. Ma pensavo anche che, se per caso fossimo riusciti a vincere, saremmo stati i primi candidati al titolo. Tornato a casa, non riuscendo a prender sonno, ho rivisto la partita (a letto alle 2,30!), rafforzando a freddo la convinzione maturata in diretta: l’arbitraggio è stato sapientemente indirizzato.

I vari Capello, Casarin, Marelli et similia stanno conseguendo l’obiettivo. Continuandosi a ripetere che gli arbitri devono "lasciar giocare" ed altre simili amenità – "il calcio è sport di contatto", deve favorirsi "il gioco maschio" –, si sta operando per rimettere nelle loro mani un enorme potere, capace di condizionare il gioco, e anche sensibilmente, contro il Regolamento vigente. Spalletti, anziché denunciarlo a voce alta, ha detto a voce sommessa che "bisogna imparare anche noi a far fallo, perché tanto, nella metà campo avversaria, non ammoniscono".

Che il mister si esprima così è comprensibile. Fiducioso nelle proprie capacità, e nel valore dei calciatori che ha a disposizione, vuole giocarsi le sue chances anche con l’handicap, sperando di non inimicarsi il ‘palazzo’. Ma noi non possiamo tacere. Per amore della competizione leale, abbiamo il dovere di mettere in evidenza il disegno (che sia voluto o no è irrilevante) sotteso a quelle dichiarazioni rese nei momenti nevralgici della comunicazione mediatica. Possono pure sembrare innocenti, perché apparentemente ispirate dalla nostalgia per il calcio di un tempo. E magari per alcuni sono effettivamente tali. Il fatto è che, genuine o scaltre che siano, quelle dichiarazioni generano obiettivamente un solo effetto: rendere ininfluente il paradigma normativo. Al quale si è pervenuti con fatica, nell’intento di circoscrivere il non più tollerabile arbitrio nell’applicazione delle regole del gioco, ingiustificabilmente diseguale.

Ma che c’entra? – potrebbe obiettare qualcuno. C’entra eccome, ed il perché è facilmente spiegabile, sebbene non sia semplice rinvenirlo senza l’occhio di chi pratica il diritto. Quando s’invoca un gioco più fluido, non continuamente interrotto dal rilievo di falli, a scapito del rigoroso rispetto delle regole, si produce una sola conseguenza: trasformare il paradigma fissato dalla regola in una interpretazione soggettiva dell’arbitro, al quale spetta di «far giocare senza fermare continuamente la partita». Ebbene, delle due l’una: o non si conosce il Regolamento in vigore, oppure si sta auspicando il suo mancato rispetto. Perché si propugna che il paradigma sia, non la regola, ma l’opinione dell’arbitro.

Proviamo a far capire meglio con qualche esempio. Nel primo tempo di Napoli-Atalanta si lascia correre una palese spinta a doppie mani su Elmas che sta entrando in area, e invece si fischia fallo a Malcuit che, pressando in attacco, appena sfiora l’avversario. Oppure, per almeno una decina di falli ‘sistematici’ da parte degli atalantini (celebrati dai menzionati commentatori per essere interpreti di un calcio ‘all’inglese’), quando rilevati, non viene comminata l’ammonizione, che invece viene comminata ai danni dei calciatori azzurri nei pochi falli commessi. Oppure ancora, nel finale, Elmas cade in area senza aver fatto niente, e l’arbitro letteralmente inventa un suo fallo (come aveva inventato un rigore, cancellato per intervento del VAR), ciò costituendo un evidente errore, per il quale il VAR avrebbe dovuto suggerire di rivedere l’azione, ben potendo essere che, visto che il fallo non l’ha commesso, forse l’ha subito.

È davanti agli occhi di tutti che, così facendo, assegnando cioè all’arbitro il compito di rendere il gioco più fluido, la partita viene indirizzata nel verso da lui voluto, a prescindere dalla regola, della quale così si predica di fatto la disapplicazione. Ma qual è il paradigma? Cosa deve fare l’arbitro per garantire il rispetto delle regole?

Semplicemente rilevare (fuori o dentro l’area è lo stesso) se, nell’«effettuare un tackle o un contrasto», il calciatore abbia avuto una «mancanza di attenzione o considerazione» o abbia agito «senza precauzione» (negligenza); oppure abbia agito con «noncuranza del pericolo o delle conseguenze per l’avversario» (imprudenza); oppure ancora, abbia ecceduto «nell’uso della forza necessaria» così mettendo «in pericolo l’incolumità dell’avversario» (vigoria sproporzionata). La sanzione disciplinare per la prima fattispecie è facoltativa, per la seconda è obbligatoriamente l’ammonizione, per la terza obbligatoriamente l’espulsione. Così recita la regola 12, e questo deve fare. Niente di diverso, e certo non perseguire l’obiettivo di favorire la ‘fluidificazione’ del gioco.

Per concludere sul pallone, riguardando la partita ho invece dovuto correggere, rispetto a come li avevo espressi allo stadio, molti giudizi sui nostri. La squadra ha giocato una gran partita, soprattutto considerando le assenze. Lozano è in netta ripresa; Malcuit, che dal vivo m’era parso claudicante, rivisto alla tele è una piacevole sorpresa; Demme deve giocare, perché è entrato facendo fatica, ma ha chiuso in crescita; Petagna è arrugginito, anche lui deve giocare di più; così come Ounas, che però, pur se fortissimo, si perde spesso in un narcisismo disarmante; Politano deve riprendere il consueto minutaggio. Insomma, nel complesso, pur nella più disperante amarezza, dopo la partita di domenica sera possiamo continuare ad avere fiducia.

Il problema è che per vincere non basta giocare meglio. Occorre pure che la sfiga vada a visitare anche gli altri. Ma, soprattutto, che le regole del gioco vengano fatte rispettare in maniera eguale. Altrimenti dovremo essere ancor più forti. Come lo fummo allora. Però allora avevamo Diego. E lui lo disse dopo quel Fiorentina-Napoli: «oggi abbiamo capito che dobbiamo giocare contro tutto e tutti». La sua grandezza riuscì a renderci vincenti nonostante «tutto e tutti». Aiutiamo i ragazzi a provarci di nuovo. Il suo insegnamento, infatti, è stato che con l’impegno, la convinzione, la determinazione e la passione si può comunque ottenere il risultato.

Ma non sarebbe meglio per tutti battersi nel rispetto uguale delle regole?