Chi eravate quando il Pocho vi ha rubato il cuore?

C'è Lavezzi a ricordarci quanti anni avesse ognuno di noi mentre ci rapiva il cuore e lo sguardo nell'ingenuo tentativo di seguirlo dalla tv o allo stadio. Aveva i capelli lunghi quando arrivò senza che nessuno se ne accorgesse, divenne uomo (ma sul serio...) con pizzetto sobrio e un'eleganza mai più smarrita quando scelse di andar via. Sono stati cinque anni irripetibili, hanno segnato le nostre vite, di sicuro anche la sua, era quasi goffo in principio ed è stato così bello, poi, poter ammirarne quel talento spettinato dal disordine del suo calcio. Lo chiamavano el Pocho, passò inosservato all'esordio col Cagliari, si ribellò a Udine dribblando anche quei ciuffi d'erba che aveva lui stesso strappato al campo. Da allora è stato amore, per molti è durato troppo poco o forse è stato meglio così, più giusto separarsi al momento opportuno, senza rischiare d'abituarsi alla sua presenza.
Lavezzi è custodito nei ricordi che il tempo ha congelato, è nei gol sparsi sottratti alla memoria, in quelle serpentine che mancheranno anche domani, nella sua furba timidezza alla quale nessuno ha mai realmente creduto. Lavezzi, el Pocho, ci ricorda chi eravamo, è stato un colpo di fulmine ma poi anche amore eterno. Ora che il calcio (giocato) non gli apparterrà più è doveroso dirgli grazie. Lo fanno i piccoli divenuti grandi ma anche gli adulti tornati con lui bambini. La magia del calcio.
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