Da 0 a 10: il massacro di Insigne, lo choc Cuadrado, la bugia di Gattuso e l'inchino inspiegabile alla Juve

(di Arturo Minervini) - Zero agli episodi: impietosi. Che siate ordinari al dipartimento Aerospaziale e Scienze Meccaniche all’Università di Princeton o umili osservatori come il sottoscritto, le motivazioni del ko devono comunque fare i conti con la manina del fato, pronta ad azionare la roulette russa letale agli azzurri, quel pallone carambolato sulla schiena di Bakayoko trasformato da una volontà superiore in assist al bacio per Ronaldo. Partendo da lì, si può ragionare su una gara frammentata, le cui verità non possono essere snocciolate come certezze assolute. Si può discutere su quanto il Napoli abbia incoraggiato il proprio destino, con la volontà di indirizzarlo al meglio. Homo faber fortunae suae.
Uno il rigore solare che Valeri era riuscito a non vedere. Salvato dal Var, su una giocata di Mertens che è cartina al tornasole su una carenza strutturale di questo Napoli: la furbizia. Dries, in arte Ciro, ha quella scaltrezza che porta a leggere in anticipo certe situazioni e ribaltarle in proprio favore. Ancora zeppo di dolori e antinfiammatori tira fuori al cilindro una ‘zingarata’ che poteva dare un finale differente alla storia. L’Università della Strada è a numero chiuso.
Due reti subite, l’ultima con i buoi ormai scappati. Fa strano perdere una finale contro la Juve, senza ricordare parate rilevanti di Ospina. Di fronte una squadra con tanti problemi, poche idee e la nostalgia rivolta ad un ciclo arrivato al termine. Il Napoli si è lasciato incantare dal feticcio di una Juve che non c’è più, si e a tratti prostrato con devozione e sudditanza non giustificata dal campo.
Tre come la terza punta. L’impatto choc di Cuadrado a poche opre dalla negatività al Covid sul match rende palese un concetto banale: quelli forti fanno la differenza. Il Napoli arriva a questa sfida senza Osimhen e con Mertens ad un mezzo servizio, affidandosi a Petagna nella gara più complicata, anche per caratteristiche dell’ex Spal. La freschezza del nigeriano sarebbe stata pena del contrappasso difficile da gestire per una difesa della Juve alle prese con i segni inesorabili del tempo. E non facciamo gli snob, non sono alibi, ma fattori che non si può ignorare: la Juve senza Ronaldo e Morata chi avrebbe schierato di punta?
Quattro metri, un guizzo da anguilla ed una parata pasticciata ma efficace. Nel film della gara, c’è quel colpo di testa lì di Lozano. Che poteva prendere un effetto diverso, che poteva delineare uno scenario differente. Così come accade nel flipper a tempo scaduto e Szczesny che si salva con i piedi. È sempre Hirving l’uomo più pericoloso, l’unico che sembra poter far male alla Juve. Si rifletta su questo: sulla crescita del messicano e sulle dolose assenze dei protagonisti mancati.
Cinque ad uno dei protagonisti mancati. Zielinski sceglie l’abito indossato da Kevin Bacon nell’Uomo senza ombra: quello dell’invisibilità. E vanno in fumo le promesse di maturità, le parole d’amore che uno così ti ruba nelle giornate di grazie. Poi rieccolo, quel vizietto lì. La maledetta indolenza, l’invivibile accidia in cui ripiomba il talento polacco. Frutto meraviglioso, che oscilla come un pendolo tra maturazione e l’acerbezza. Un altro treno perso.
Sei alla piccola bugia di Gattuso che rinnega Gattuso. “Non ho nulla da rimproverare ai miei” dice dopo il match, ma siamo sicuri che il Gattuso calciatore avrebbe avuto molto da rimproverare ai compagni per una gara giocata con un tasso così basso di determinazione/cattiveria. Parole di circostanza, doverose, che generano però un sospetto: perché il Napoli non riesce ad avere quel veleno tanto invocato? Chi deve iniettarlo? Quali sono le giuste proporzioni delle dose? Insomma: Rino, a sè stesso, avrebbe qualcosa da rimproverare?
Sette anime e non sai mai quale pescare. Insigne ripiomba nel conflitto interiore, nel baratro emotivo di chi deve fare i conti con pareti che assumono in certe notti le sembianze di una prigione. Lo sport è cinico. I momenti definiscono le carriera, i racconti, i giudizi. Perché è pur vero che De Gregori canta che non è da quei particolari che si giudica un giocatore. Ma la canzone prosegue, parla di ‘Coraggio’ di ‘Fantasia’. Tutto ciò che non è stato, insomma. Cose non viste, di cui il rigore sbagliato è cristallina conseguenza. Mannaggia Lorenzo.
Otto-nove come il minuto del primo cartellino. Ci sono risposte nascoste, dentro il linguaggio dei corpi. Che dicono, seppur senza fiatare, più di molte frasi urlate a squarciagola. E i corpi devono essere disposti al sacrificio, sottomessi ad uno scopo che necessita foga e vigore per essere raggiunto. Se non sei disposto a mettere sul tavolo da gioco, il tavolo da gioco non ti darà mai in cambio quel che cerchi. È la legge fissata da Kipling: “Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune e rischiarlo in un unico lancio a testa e croce” sarai un uomo figlio mio.
Nove come il centravanti in uscita. Il caso Milik premia la ferrea volontà di De Laurentiis di non cedere ai giochetti di qualche agente, col patron che incassa una cifra importantissima per un giocatore che sembrava perso a zero. In più, si è pure riservato una percentuale sulla futura rivendita di Arek: Aurelio, quando ci si mette, riuscirebbe a vendere tagliacapelli ad una popolazione con l’alopecia.
Dieci alle lacrime che diventano sineddoche di tutte le emozioni. Che meritano uno spazio narrativo differente. La disperazione, l’attimo che è già fuggito e non puoi più riacciuffarlo nemmeno se sali in piedi su una cattedra. Rammarico caldo sulla faccia vien giù dal Vulcano che si riscopre fragile, che affronta il calore della delusione tutto solo. Un isolamento forzato, imposto da un mondo che non vuole mai stare dalla parte di chi sbaglia. Ci si sposta in fretta, dall’altra parte. È uno scenario desolato, ma fiero. Il coraggio di mostrare una grande debolezza e la famelica rincorsa ad un brandello della preda ferita, riverberi di una società che non sembra avere più spazio per la comprensione.
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