Da 0 a 10: la risposta choc di Gasperini, la dedica di Milik, l'annuncio su Callejon e Rino versione Sotomayor

13.07.2020 12:27 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: la risposta choc di Gasperini, la dedica di Milik, l'annuncio su Callejon e Rino versione Sotomayor
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© foto di Alessandro Garofalo/Image Sport

(di Arturo Minervini) - Zero a quel bergamasco del Ca**o. Pensate cosa accadrebbe se uno scrivesse così di Mirco Moioli? Ma non lo faremo perché sappiamo quanto faccia schifo una frase che usa la geolocalizzazione per definire una persona. Un gps dell’insulto, una mappatura genetica della dignità che se ci pensi ti viene la nausea. Che poi delle scuse non sappiamo che farcene. Che poi in un paese normale chi ha quel tipo di pensiero verrebbe sbattuto fuori dal calcio per sempre. Perché il calcio è sport, che è lezione di vita. Ed a certa gente, la vita, non ha insegnato nient’altro che la camera oscura della loro anima. Fotografie orribili di un pensiero che lascia schifati. E che resterà blindato in quel cervello che non conosce abbastanza il mondo. "Non è un problema mio e nemmeno dell’Atalanta" dice Ponzio Gasperini. Che si volta dall’altra parte mentre il mondo brucia d’odio. Che ancora una volta perde una grande occasione per celebrare uno dei momenti più alti di una parte del genere umano. Il silenzio.

Uno alla ostinata direzione arbitrale. Un vento che ha sbattuto in faccia al Napoli così tante volte, al punto da avere gli effetti di un uragano. La Penna sporca il foglio con una gestione orripilante del match, in primis con i cartellini: Di Lorenzo ammonito al primo fallo (che nemmeno c’era), Conti lasciato libero di randellare per 77’ minuti. All’appello manca ancora un rigore, che dovrebbe essere il diciottesimo stagionale negato. Non 1, 2, 3, 5, 8 messi in sequenza Fibonacci. No. Ne mancano 18. E sono tanti, troppi, per non gridare allo scandalo.

Due piedi che affondano nell’erba ed un’elevazione che omaggia Javier Sotomayor, leggenda vivente del salto in alto. La parata a due mani di Rino Gattuso è immagine Rock della serata, manifesto genuino di chi continua ad avere con il pallone un rapporto primordiale, rurale nell’accezione più elevata del termine. Dopo Michael Jordan e Lebron James, Ringhio si candida per il terzo episodio di Space Jam: I believe, i can fly. Rino ed il calcio, amore fulminante. Rino ed una squadra che è pazza di lui: basta guardare le facce di chi era seduto in panchina al momento del salto fulminante per rendersene conto.

Tre gol in campionato per Di Lorenzo, che punisce l’errore di Donnarumma che questa volta non posta video di saluto agli zii. Lesto l’esterno ex Empoli, due volte imperfetto l’estremo difensore del Milan che col Napoli alterna sempre parate in stile Ed Warner a celebri mappazoni di barbierana memoria.  “Metti la mano, togli la mano” recita il mantra di Gigio.

Quattro almeno i tacchetti di Theo che abbozzano il tatuaggio ‘Mamma vita Mia’ sul polpaccio di Milik. Intervento da patrie galere, corredato da quello che era il segno distintivo di chi in quegli anni aveva visitato per un periodo più o meno lungo Poggioreale o affini. Chiunque, davvero chiunque, nel mondo ha subito avuto la nitida percezione della gravità dell’intervento. Chiunque tranne La Penna, in presa diretta, e Rocchi che non si è smosso nemmeno dopo aver giovato dell’ausilio del replay. Ma a cosa serve un regolamento applicato da tutti come gli pare?

Cinque gare subendo sempre gol, sette in totali dalla Spal al Milan. Gattuso questo fastidio fisico lo ha espresso nelle parole post-gara, prendere così tanti gol gli provoca il rigonfiamento di tutte le vene sulla mappatura dell’encefalo come un una macchina che all’Ikea, di domenica pomeriggio, occupa due spazi per il parcheggio. 

Sei a Mario Rui. Che non conosce la paura. Che va a contrasto con Ibrahimovic e se ne infischia di poter fare la fine di una smart che impatta con un transatlantico frontalmente. Guerriero vero Mario, pompiere nell’animo. E si sa: il pompiere paura non ne ha.

Sette sulle spalle, sette gli assist in campionato. Notte ambivalente per Josè, che divora un gol già fatto e si perde pure Theo sul primo gol del diavolo. Lo spagnolo, però, non teme le ammaccature, fa della resistenza ad oltranza il marchio di fabbrica e nella ripresa pesca il cross basso per l’amico Ciro. Cacciatore di tramonti Josè, che insegue il sole di Napoli fino all’ultimo raggio di luce. Sei gare da giocare e una valigia con tante cose da infilarci dentro. 

Otto alla fluidità, abbinata alla duttilità: un corpo solido immerso in un liquido, come la canzone Carboni/Fabri Fibra. Dalle accuse di catenaccio ad un calcio piacevole, il volo pindarico di Gattuso ha nelle ali la propulsione evolutiva delle idee che sposano il lavoro sul campo. A tratti è un Napoli che diverte e si diverte, riscopre l’ebrezza del dominio e ricasca nell’antico vizio di preferire la spensieratezza al cinismo. Il progetto di questa casa sembra avere fondamenta nuovamente solide.

Nove gol in campionato, sedici in stagione. Ciro c’è, come le scritte in autostrada anni 80. E Ciro segna, in tutti modi possibili. Ripiega nella propria area e salva in scivolata, morde alle caviglie del regista avversario con una motivazione che appartiene alle rinascite. La firma ti fa bello, come una fonte di giovinezza eterna. Mertens è e sarà un valore aggiunto di questa squadra, perché questo è un fiore che non appassisce. Vino che stipato nella cantina napoletana è destinato ad assumere sapore ancor più delizioso, chiamate pure il sommelier. Con Dries, tenete sempre pronto un tappo da stappare per un brindisi. Garanzia. 

Dieci a quei tre, con la testa alta. Nastro che si riavvolge, trittico che ha sul volto la storia recente di questo Napoli, di questa gente, di questa maglia. Ciro Mertens, Lorenzo Insigne e Josè Callejon: così tanto amore nella stessa foto si è visto poche volte. Si dice che immagini abbiano il potere di rubarti l’anima, incatenarla ad un mondo senza spazio e senza tempo. Forse esiste un universo dei ricordi, oceano dove rinfrescare la memoria con dolci pensieri. Spesso pensiamo che la storia è quello che abbiamo vissuto, dimenticando che la storia cammina con noi. Con le teste alte, ad esultare dopo un gol. La storia sono quei tre. Che c’erano, ci sono e ci saranno. Grazie.