Dalla gioia alla delusione: la notte dei Sarristi e il Comandante che lascia intendere il tradimento di sé stesso

(di Dario De Martino). «È una vittoria che voglio dedicare ai tifosi del Napoli perché è una gioia che a loro non sono riuscito a regalare». Firmato Maurizio Sarri. È l’apice della gioia per il popolo della rivoluzione sarrista che si sente partecipe di un trionfo popolare, legittimato con quella dedica dallo stesso Comandante. Un attimo di felicità destinato a rimanere scolpito nella memoria. Comunque vada. È stata vinta una battaglia della rivoluzione. Quell’attimo resta e resterà. Ma l’animo del popolo sarrista ripiomba nel gelo. Poco prima di aver dedicato ai tifosi partenopei il trofeo, Sarri aveva detto altro. Un qualcosa a cui si ripensa subito dopo quel picco di felicità: «I napoletani sanno benissimo l'amore che provo per loro. Il rispetto da parte mia l'avranno sempre, ma la professione ti porta anche a fare altri percorsi, ma questo non cambia il mio rapporto coi tifosi e la città». Anche chi non vuole crederci non può che leggere in queste parole un’apertura alla Juventus. Sembrano gli ultimi istanti di un sogno che sta svanendo, quegli attimi in cui la mente torna indietro e rivive in pochi flash un’intera avventura.
In principio era solo un’idea di gioco del calcio. Poi è diventato il sogno di un popolo, quello napoletano, che cercava ancora nel calcio una rivalsa sociale. Pian piano è cresciuto ancor di più. È diventata un’ideologia. E no, il termine non è affatto esagerato. Quando la società non offre spazi d’aggregazione attorno alle idee e il successo politico e sociale non è altro che marketing, agli orfani dell’ideologismo non rimane che aggrapparsi attorno a un allenatore di calcio. Un tecnico che non ha solo idee calcistiche, ma vere idee politiche: la rivoluzione con pochi uomini fidati, la creatività e la bellezza come mezzo per raggiungere il risultato ma anche come scopo finale, la cultura del lavoro meticoloso e senza sosta come unica strada verso il successo. Principi che vanno ben oltre il calcio. Sono modi di intendere la società. È politica. D’altronde solo così si può raggiungere un consenso che trasborda lo sport. Solo così si può portare un gruppo di tifosi del Napoli in piazza Miraglia per tifare Chelsea. E non solo certo i napoletani. Dall’ombra del Vesuvio, ancora una volta e non a caso, è partita una magia che ha travolto tanti e che non si è mai spenta, nemmeno con Inter-Juventus, nemmeno con lo scudetto perso in albergo, nemmeno con il passaggio al Chelsea. È un qualcosa di più: è una genuina ma raffinata idea del mondo. O forse era.
Il dubbio, ora, è entrato nella testa anche del più sarrista dei sarristi. Il passaggio alla Juventus sembra qualcosa in più di una voce. Lo stesso Maurizio Sarri sembra averlo lasciato intendere. Il tradimento sembra ora un qualcosa di meno irreale. E non ci sarebbero altri termini: di tradimento si tratterebbe. Non dei napoletani. Da Altafini a Higuain, sarebbe solo un altro che passa dall’azzurro al bianconero. Il passaggio al club degli Agnelli sarebbe il tradimento dell’intero popolo sarrista. Ma ancor di più: Sarri tradirebbe sè stesso. Al di là della rivalità sportiva, il nocciolo della questione sta nei simboli. La Juventus è il simbolo del palazzo, è il simbolo del potere da ribaltare con la rivoluzione, è quel club verso cui il comandate diceva di nutrire «lo stesso retropensiero dei tifosi del Napoli». Maurizio Sarri ha dato un approccio ideologico al suo ruolo da allenatore e in tanti lo hanno seguito. Anche perché sembrava un comandante genuino. Ieri, nel momento del trionfo, vien fuori che «la professione ti porta anche a fare altri percorsi». E allora sorge il dubbio: era un’ideologia vera o solo rappresentazione? Nel primo caso, e i sarristi che hanno creduto nel sogno lo penseranno fino alla fine, Sarri con il passaggio alla Juventus tradirebbe sé stesso. Nel secondo ha tradito tutti gli altri. In ogni caso, se il passaggio si concretizzasse, difficilmente avrebbe ragione nel dire «questo non cambia il mio rapporto coi tifosi e la città». Cambierebbe eccome.
Ma per i sarristi ieri è stato il giorno del trionfo. E il sogno resta e resterà. Ieri, comunque vada, la rivoluzione ha vinto una battaglia. Nello stesso giorno, però, se l’impressione è stata giusta, il popolo in armi ha perso il Comandate. E poiché, nonostante i risvolti sociali si parla comunque di calcio, questo significherebbe che la rivoluzione sarrista sarebbe finita. Oltre le impressioni, comunque, ad oggi la realtà sul presunto tradimento è ancora indefinita. Perciò ieri i sarristi duri e puri si sono goduti il trionfo. Eppure “ci si sente come in due”, come nel “qualcuno era sarrista” gaberiano di uno dei seguaci del movimento, rappresentato da una pagina Facebook che è diventata molto di più. Da una parte l’uomo inserito che ragiona sulle parole di Sarri e vede con concretezza il tradimento. E dall’altra il gabbiano che spera ancora di volare. Nella speranza, ancora viva, che quel “Qualcuno era sarrista” non debba essere coniugato per davvero all’imperfetto.
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