Guido Clemente di San Luca a TN - "No, per favore, Conte no!"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni sul momento di casa Napoli.
"Come mi capita spesso, vado controcorrente. All’inizio della stagione su Garcia mi dichiarai moderatamente fiducioso. Ma affermai che molto sarebbe dipeso dalla capacità del mister di entrare in sintonia con lo spogliatoio. Ho poi sostenuto la necessità di essere prudenti e dargli tempo. Dopo la Fiorentina, però, è diventato difficile difenderlo, perché la squadra è sembrata aver perduto l’anima, per effetto della evaporazione dell’identità tattica. Sembra di rivivere la infelice stagione di Ancelotti. Non c’è difesa che tenga, Garcia pare non essere entrato in sintonia umana, psicologica, prim’ancora che tecnica, con i calciatori. E le sostituzioni in corso di gara sono state ancora una volta incomprensibili.
Siccome il mister ha una storia professionale di tutto rispetto, pensare che anche il parcheggiatore sotto l’ufficio farebbe meglio di lui è soltanto una divertente battuta comica. Tuttavia, non è dato comprendere quale sia l’idea di gioco che abbia proposto alla squadra, senza essere capito. Il Napoli dell’anno scorso ha vinto praticamente in tutte le principali statistiche, dal possesso palla al miglior attacco. Come può d’un tratto essersi evaporato tutto ciò? Ed è in grado Garcia, facendo un bagno di umiltà, di recuperarlo? O andrebbe sostituito? L’interrogativo impegna tutti coloro che si occupano degli azzurri: v’è stata, e permane tuttora, una pressoché unanime valanga di commenti critici nei confronti del mister. Ma io mi domando: ci sarebbe stata se Osimhen avesse segnato il 2-1 ed il Napoli avesse vinto? La maggior parte dei critici avrebbe elogiato Garcia, perché è abitudine consolidata lasciare che i giudizi vengano influenzati soprattutto dai risultati.
2. Mi è stata suggerita una definizione di ADL che trovo alquanto appropriata: il sultano. Secondo la Treccani, la parola – che indica il sovrano di Stati orientali – si adopera in senso figurato per riferire di una persona «che assume atteggiamenti prepotenti, autoritari». Insomma, chi si relaziona agli altri ostentando la sua potenza, rischiando senza timori di presentarsi come autoreferenziale, incapace per ciò di stabilire rapporti umani ‘paritari’, aduso naturalmente alla unilateralità. Dopo la vittoria dello scudetto, ADL è giunto al culmine della sua popolarità. Nessuno poteva osare discutere di alcunché lo riguardasse. Il suo modello aziendale veniva quasi unanimemente celebrato come virtuoso, da emulare ed esportabile. Chi timidamente fece osservare che l’assunto scaturiva da un evidente abbaglio derivante dall’accecante luce della vittoria, venne etichettato più o meno come un ‘fuori di testa’.
Ora è evidente a tutti che, dopo la vittoria (e anche prima che si conseguisse con certezza), ADL abbia sbagliato ripetutamente. A lasciar scappare via Spalletti, che se n’è andato amando fino in fondo la città e la squadra, ma considerando non più tollerabile il rapporto con il ‘sultano’. Il Presidente soffre palesemente di uno smisurato protagonismo. Più i suoi dipendenti rivelano una significativa personalità, meno li tollera. Ha sbagliato poi a scegliere Garcia per sostituirlo. E, da ultimo, a delegittimarlo pubblicamente, uniformandosi alla canea che reclamava il suo esonero, salvo poi far repentina marcia indietro per provare ad evitare il naufragio. Ebbene, ubi commoda ibi incommoda. Gli onori quando si vince, le critiche quando si commettono errori.
3. Mi auguro fortemente (e forse un po’ mi aspetto) che le cose si risistemino. Perché – al di là del pensiero snob dei benpensanti – l’andamento del Napoli influisce fortemente sull’umore della città. E perché comunque è assai difficile per chiunque subentrare in corsa. Lo fece benissimo Gattuso, la cui opera preziosa è negata solo da chi ostenta preconcetti (non da Spalletti e Giuntoli, che hanno onestamente riconosciuto di averne proseguito l’opera di risanamento dalla desertificazione prodotta dal pluridecorato, riprendendo il filo interrotto della ricerca della bellezza).
In ogni caso, se malauguratamente dovesse andar male, per favore, Conte no. Considero molto preoccupante l’unanimismo fra gli addetti ai lavori nell’auspicarne l’avvento. Non tanto quello dei tifosi espressisi sui social. La gente al fondo non lo appezza affatto. Basterebbe pensare alle reazioni suscitate dalla sua foto sorridente alla festa dei violatori seriali della legalità. Nessun vero tifoso partenopeo lo vorrebbe sulla panchina azzurra, perché è percepito come un simbolo del potere illegale, incompatibile con noi. Sarebbe una rovina. Anzitutto per le appena esposte ragioni d’immagine, a mio avviso tutt’altro che secondarie. Rappresenterebbe, invero, l’ennesimo fatto che azzera la indispensabile, vitale, diversità d’identità. Noi dovremmo rinnegare la nostra, e sposare quella secondo cui «l’unica cosa che conta è la vittoria». Ma non solo per questo. Ci sarebbe infatti anche un insormontabile problema tattico. Sarebbe sconfessato il gioco ormai decennale (tranne la dolorosa pausa Ancelotti), con due conseguenze. Sul piano ‘culturale’, rinnegare il credo “giochista” per sposare quello “risultatista” (espressioni orribili, ma di sintesi efficace) costituirebbe un preoccupante passo indietro. Sul piano pratico, la maggioranza dei giocatori farebbe una fatica enorme per cambiare radicalmente la filosofia dello stare in campo. Insomma, un disperato suicidio.
Ma – domandiamoci – veramente si può realisticamente pensare di abbracciare la cultura della “vittoria ad ogni costo”, rinnegando di botto la tradizione fondata sulla coniugazione di vittoria con bellezza? No, per favore, Conte no. E allora? Dovessimo arrivare a questo punto, sarebbe necessario qualcuno capace di generare un effetto galvanizzante senza stravolgere il patrimonio tecnico-tattico costruito in tanti anni. Qualcuno che sia capace di entrare dentro il modello esistente nella testa dei giocatori, acquisire subito la loro fiducia, e capace di resistere alla enorme pressione ambientale. La stagione è ancora lunga. Il sultano non deve più sbagliare, facendo ricorso alla sua proverbiale fortuna negli affari".
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