Guido Clemente di San Luca a TN: "Sono rimasto a casa, in silenzio, commosso"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni in merito a quanto avvenuto domenica scorsa. 

12.05.2023 15:40 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN: "Sono rimasto a casa, in silenzio, commosso"

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni in merito a quanto avvenuto domenica scorsa. 

"Ho ricevuto da diverse parti sollecitazioni ad esprimermi dopo la vittoria. Molti si sono chiesti perché restassi taciturno. In effetti è da una settimana che ci provo. Ma senza successo. Perché, assorbito dal vorticoso profluvio di scritti e opinioni espresse in tv e nei social, che continuano a scorrere, faccio fatica a districarmi.

Giovedì scorso, dopo Udinese-Napoli (non essendo riuscito ad esercitare la prelazione per acquistare il biglietto per vederla al Maradona), non sono sceso in piazza. Sono rimasto a casa, in un commosso silenzio. Durante la partita si sono alternati pensieri ed emozioni. Prima del gol di Lovric, combattuto, dicevo a me stesso: «ci basta un punto, abbiamo altre 5 partite per farlo, non devo stare ansioso, non c’è motivo». Del resto, come avevo dichiarato, quasi quasi non mi sarebbe dispiaciuto perdere, per rivivere l’emozione in casa con la Fiorentina. Poi, però, ti assale il timore per le possibili conseguenze nefaste del cattivo presagio, che dopo quel gol si sono fatte reali: potrebbe pure succedere che noi le perdiamo tutte, la Lazio le vince tutte e – mi saliva l’angoscia – arriviamo allo spareggio. Immaginando che, come al solito, la sfiga potesse concentrarsi su di noi.

Tutto questo ovviamente senza profferir parola. Fino a che non ha segnato Osimhen. Quando la palla è entrata in rete sono prorotto in un urlo liberatorio. Goooool!!! Al fischio finale lacrime silenti e leggere hanno solcato il mio viso. Sono uscito fuori al balcone (che dà su Fuorigrotta e sul nostro tempio pagano) ed ho visto e sentito la città esplodere come a Capodanno. Quasi paralizzato dentro, non ho avuto la forza di scendere. Sono rimasto davanti alla tv facendo zapping fino alle 2,30 del mattino e seguendo i copiosi meme in rete. Fra i quali mi ha colpito questo: «Non scendete a festeggiare, ci sono juventini che entrano negli appartamenti!». Per la sua straordinaria forza ironica nell’esprimere il valore cui sto dedicando il mio piccolo impegno ormai da qualche anno: la legalità nel calcio. Della violazione di questa, la Juve, nell’immaginario collettivo (non solo partenopeo), può ben dirsi esser diventata l’icona forse più rappresentativa.

Fra le decine di migliaia di striscioni decoranti la città, due hanno stuzzicato la mia intelligenza. Il primo è: «Scusa Pappo’ se ti ho fatto una chiavica fino a mo’. Grazie». Perché segna la riconciliazione (speriamo definitiva) fra il Presidente e la città. In effetti, ADL ha tradotto la scaltrezza in saggezza, scegliendo di puntare a risolvere due questioni fondamentali per mantenere il giusto rapporto con il popolo azzurro. Per un verso, riconoscendo la non identificabilità degli ultras coi delinquenti. Per l’altro, dando finalmente, ed inequivocabilmente, un segnale («questo è lo scudetto dell’onestà») sulla indispensabile battaglia per la legalità.

Il secondo striscione è questo: «Napoli è l’altra Europa che la ragione cartesiana non può penetrare. Curzio Malaparte». Per la straordinaria efficacia icastica, secondo me, rappresenta meglio di tutti il senso e le dimensioni della festa. Perché demolisce i due principali argomenti adoperati per spiegare l’accaduto. Entrambi gonfi – loro sì – di una insopportabile retorica, di quel modo di parlare e scrivere carico di enfasi ma vuoto nella sostanza, e, a ben riflettere, povero di autentico impegno intellettuale. Sia l’argomento secondo cui dovremmo finalmente liberarci dal clichè del «riscatto sociale», della «rivalsa». Sia l’argomento che vorrebbe questa vittoria come «nordica, milanese», una vittoria, cioè, «della programmazione», del superamento dell’«improvvisazione» e dello stereotipato «genio e sregolatezza».

Tutto ciò perché questa è la vittoria di «una squadra e una società che sono diventate grandi insieme e sono cresciute anno dopo anno». Che è l’unica cosa vera. Mentre, invece, si fanno derivare dall’assunto conseguenze che sono il frutto di una lettura dei fatti superficiale e per gran parte sbagliata. Una lettura che, quanto meno, fa un uso improprio del lessico. Cominciamo dal primo. Secondo il vocabolario Treccani, per rivalsa s’intende «il fatto e il modo di rivalersi, di trovare cioè un risarcimento a una spesa, a una perdita»; e per riscatto «il liberarsi da una condizione di oppressione», la «emancipazione», la «riscossa».

Ebbene, nessuno può negare che di questo si tratti. Non fosse altro perché è un fatto oggettivo che la gente la senta così. Ma non solo. A meno che non si voglia fingere che sia stata risolta la questione meridionale. Ecco, si potrà dire che non c’è più bisogno di riscatto o rivalsa quando il Giuntoli di turno potrà scegliere il percorso inverso: dopo aver fatto bene alla Juve, considererà un salto in avanti, un progresso, un up-grade, venire al Napoli. 

Quanto al secondo argomento, mi devo ripetere. Il successo di un’azienda nel conseguire utili non deriva esclusivamente ed inesorabilmente da programmazione e managerial skills. Non di rado, allo scopo è sufficiente saper coniugare scaltrezza, fiuto e fortuna col tenere in ordine i bilanci. Programmazione e capacità manageriali non si possono, né si devono, confondere col gestire correttamente la contabilità. Ove si osservino ed analizzino i fatti senza preconcetti, da essi si trova soltanto chiara conferma dell’antico detto «beati monoculi in terra caecorum». Non si può, pertanto, falsificare la realtà, letteralmente inventandola sulla base della propria visione del mondo. La pur indiscutibile virtuosità di quest’ultima non è sufficiente a renderla veritiera (a meno di non voler superare la differenza tra l’‘essere’ e il ‘dover essere’). Se quasi tutti operano fuori legge, alla fine, limitandosi a rispettarla, ed aggiungendo astuzia, intuito e buona sorte, si riesce a vincere pur senza vantare particolari virtù manageriali o programmatorie.

Insomma, semplicemente, il Napoli è un’azienda di tipo familiare, con una esilissima organizzazione aziendale, ed una risibile struttura patrimoniale. Se avesse avuto un programma, il relativo documento si sarebbe dovuto conoscere prima, com’è nella semantica del lemma (sempre dalla Treccani: programmare significa «formulare un programma», «pianificare»), per poterne valutare poi man mano il grado di attuazione. Ha invece soltanto, saggiamente, tenuto una linea di correttezza contabile. In conclusione, trarre dalla vittoria ciò che la vittoria non dimostra è operazione intellettualmente truffaldina. Il Napoli è virtuoso perché ha i bilanci a posto. Ma non ha alcun modello aziendale/manageriale da esportare che non sia altro da una sana idea di gestione familiare portata avanti senza violare la legge.

Il Napoli, dunque, proprio per ciò, non ha vinto «rinnegando Napoli». È vero esattamente il contrario. ADL è un abilissimo impresario dal tratto propriamente e tipicamente levantino: astuto, furbo, sagace, capace come pochi di cogliere e cavalcare alla grande la realtà, allo scopo di generare profitti con abilità non comuni indiscutibili. Tuttavia, scambiare questo con un modello virtuoso di organizzazione aziendale è un falso clamoroso. La linea seguita dal Presidente non smentisce affatto la complessità di Napoli. Anzi, la conferma. Dimostrando ulteriormente la sua assoluta unicità, che non esclude in alcun modo la sua attitudine a restare fra le capitali d’Europa senza doversi necessariamente snaturare. Sempre che venga predicata senza perpetuare la discriminazione territoriale sottesa ad una malintesa autonomia finanziaria, la cd. ‘autonomia differenziata’ è perfetta per noi. 

Per concludere tornando al vorticoso profluvio di opinioni e scritti di questi giorni, non mi pare di aver visto richiamare “La pelle” di Curzio Malaparte, citata dallo striscione. E allora, soprattutto per chi continui a ripetere la solita nenia dello stereotipo scontato ed abusato, vale la pena riproporre per intero quella citazione. Nonostante il mondo sia profondamente cambiato. Nonostante questo sia lo «scudetto per teenager, lo scudetto di chi non aveva visto gli altri due» e parli non «alle tombe ma alle culle», consegnando «metaforicamente le sorti di Napoli a una nuova generazione di napoletane e napoletani» (come ha scritto meravigliosamente Carotenuto). Quelle parole restano vive ed illuminanti: «Che cosa sperate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna? Vi troverete Napoli, è il destino dell’Europa di diventare Napoli. Napoli è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l’altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare. Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli».