ESCLUSIVA - Jorginho in Nazionale, l’ex allenatore a Verona: “Fenomeno già a 16 anni, decisiva la gavetta. Ha una grande fortuna”

Così banale da sembrare scontata. Il motivo è assai elementare: nessun titolone sui giornali, rare discussioni in tv, pochi dibattiti in piazza. Ma la convocazione di Jorginho in Nazionale Italiana – per le amichevoli contro Spagna e Germania – ha radici lontane ed è stata costruita passo dopo passo, arrivata in sordina nonostante l’evidente merito. Innanzitutto è una piacevole sorpresa: perché Jorginho, classe ’91, è nato in Brasile - a Imbituba, Santa Catarina - ma ha scelto l’azzurro perché “si sente italiano a tutti gli effetti” dopo aver varcato il confine all’età di quattordici anni: viaggio d’andata senza ritorno.
Dalla povertà alla ricchezza senza mai vergognarsi di ammettere le sue origini: guadagnava 20 euro alla settimana, viveva in un convitto, sognava di diventare calciatore. Ce l’ha fatta dopo mille sacrifici, svariati ostacoli ed anche un po’ di fortuna: quella non guasta mai. Lo scoprì il Verona, tra il 2006 e il 2007, che lo aggregò al settore giovanile e scelse per lui il percorso più intelligente: la gavetta, le esperienze in prestito, le opportunità da ricercare altrove per non bruciarsi in fretta, deludendo tutti. “Se non fosse andato via da Verona, alla Sambonifacese, non sarebbe mai esploso”. Ne è convinto Gian Marco Remondina, ex tecnico dei gialloblù, primo allenatore a convocare Jorginho in prima squadra neppure diciottenne: “Avevo l’abitudine di attingere dal settore giovanile quando si andava a fare qualche amichevole in provincia, oppure quando mancava qualcuno della rosa. Sceglievo il più meritevole e Jorginho era spesso uno di questi. Si vedeva che era il più forte degli altri, aveva qualcosa in più”.
L’approdo in prestito alla Sambonifacese, nella stagione 2010-11, fu la prima esperienza tra i professionisti dopo il precedente prestito alla Primavera del Sassuolo: “Certi calciatori hanno l’esigenza di fare esperienza. La gavetta è stata fondamentale per la sua crescita. Alla Sambonifacese ha giocato tanto (31 presenze, ndr), è cresciuto, è migliorato. Se non ci fosse andato non sarebbe qui, dov’è adesso”. Remondina, intervistato in esclusiva da Tuttonapoli.net, ricorda il primo Jorginho, appena sedicenne, già fenomeno nel settore giovanile del Verona: “Era magro, magrissimo. Con lo staff tecnico parlavamo spesso di lui, ci confrontavamo: era il più sveglio di tutti nonostante il fisico esile. Era duttile, poteva giocare in qualsiasi posizione del centrocampo perché era molto intelligente: chi sa giocare a calcio lo sa fare dappertutto. In amichevole lo schieravo dove serviva”.
Dopo esser tornato dall’esperienza alla Sambonifacese, Jorginho è riuscito – finalmente – ad imporsi anche a Verona, al termine di un percorso di crescita lungo ma necessario per la sua carriera. Per tre stagioni, dal 2011 al 2014, è stato perno del centrocampo a tre di Mandorlini e protagonista del salto dalla B alla A: “In quel ruolo è fenomenale, costruiva tantissimo ed aveva sempre la palla incollata ai piedi. Vuol dire che tecnicamente è davvero forte, ma è anche rapido e veloce di testa, nel leggere il gioco. Attenzione: era così già a sedici anni”. Un po’ regista e un po’ mediano, per molti Jorginho è un centrocampista atipico, abile in fase d’impostazione ma anche determinante in interdizione. Pochi come lui: “Lo deve alla sua intelligenza – spiega Remondina – alla sua abilità di essere sempre al posto giusto nel momento giusto. Sa quando accelerare, quando verticalizzare, quando temporeggiare. Certo, per riuscirci deve anche essere messo nelle condizioni giuste per farlo. Il suo ruolo, ad esempio, è quello dove sta giocando quest’anno con Sarri. Non è un caso che sia definitivamente esploso. Ed io sono felice per quello che sta facendo”.
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