La vittoria del piano tattico di Carlo

di Antonio Gaito - Ci sono vittorie che non sono come tutte le altre. Alcune pesano come macigni, restano nella testa liberandola dalle scorie negative, cambiano giudizi, tracciano un percorso o ne modificano un altro che non avrebbe portato lontano. A Salisburgo non sono solo arrivati i tre punti e probabilmente la qualificazione agli ottavi per la terza volta nella storia del Napoli, non si è soltanto vinto su un campo terribile o recuperato mentalmente Insigne, ammirato Mertens e Meret di livello europeo o capito che si può contare anche su Luperto, ma molto di più. Si è vista, per chi è disposto ad aprirsi e liberarsi da alcuni pregiudizi, la filosofia di un allenatore che molti non hanno compreso e che lui non cambierebbe mai perché nella sua carriera ha fatto la differenza per arrivare a successi inarrivabili per tutti gli altri.
Carlo Ancelotti nelle difficoltà non ha arretrato di un centimetro. Ha continuato a far prevalere l'importanza del piano tattico specifico per quei 90 minuti, in base soprattutto agli avversari, davanti alla richiesta di continuità e quindi di un'identità di squadra. A partire dalle dichiarazioni di ADL sulla presenza certa di Milik, neanche subentrato. S'è presentato senza mezza difesa, neanche l'ha fatto notare nel post-partita, e non ha rinunciato all'idea sulla carta più giusta: quattro centrocampisti veri, recupero palla compattandosi, fraseggio senza rischi e, una volta elusa la prima linea di pressing folle del Salisburgo portata con 5-6 uomini, subito in verticale per affrontare i 4-5 giocatori restanti del Saliburgo con gli uomini di maggior gamba a disposizione: Zielinski, Lozano e Mertens. Non c'è capitano o bomber caldo che tenga. E poco importa se Lozano non ha incantato: portare velocemente la palla nell'altra metà campo - e far diventare il pressing del Salisburgo da punto di forza a punto debole - era tutto quello che gli serviva. Più voi pressate alto, più noi abbiamo possibilità di arrivare facilmente in porta. Il messaggio che ha portato i ragazzini terribili a perdere fiducia in alcune fasi.
Così il Napoli è riuscito a rispondere colpo su colpo, quasi rinunciando a fraseggiare stazionando troppo al centro del campo che avrebbe significato attivare e sfidare la migliore qualità dell'avversario, il pressing. Il bel calcio è anche questo, non soltanto dominare territorialmente e triplicare i passaggi altrui, anche perché non è possibile farlo neanche per metà partite della stagione ed in Europa forse neanche per un terzo. Ancelotti ha vinto così in Europa, anche con le migliori rose a disposizione talvolta non ha rinunciato ad adattarsi all'avversario e sfruttarne i punti deboli. Forgiare una squadra come il Napoli - abituata per anni a recitare un copione - a ragione in tanti modi, e con un'unica testa, è la sfida più grande di Ancelotti per far crescere i giocatori a disposizione e portare il collettivo in un'altra dimensione.
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