La storia siete voi: l'allenatore dei sogni, il sig. Bianchi

 La storia siete voi:  l'allenatore dei sogni, il sig. BianchiTuttoNapoli.net
© foto di Federico De Luca
mercoledì 29 maggio 2013, 21:00Rubriche
di Leonardo Ciccarelli
Schivo, distaccato, taciturno. Passato dal "Vinco la coppa e vado via" al "Maradona mi chiami Sig.Bianchi"

Il calcio è molto cambiato col tempo, purtroppo e per fortuna. Prima era composto da grandi allenatori che grazie a calciatori pazzeschi  che trovavano nelle grandi società sono riusciti a raggiungere traguardi impensabili, oggi è l’inverso: sono i grandi allenatori che grazie ad un accentramento del ruolo  riescono a vincere. Siamo passati da un istruttore, come Rocco, Herrera, Pesaola ad un manager come Wenger, Mourinho o Benitez. Un allenatore vecchio stampo che deve molto alla società che ha avuto l’onore di servire è senza dubbio lo stratega dei primi successi: Ottavio Bianchi.
Bianchi nasce a Brescia il 6 Ottobre del 1943 ed è ovvio che per un bresciano tifoso della Leonessa e cresciuto con quella casacca blu cucita sulla pelle ritrovarsi a Napoli non è per niente facile. Il primo assaggio di azzurro lo ha nel 1966 quando viene acquistato da Fiore perché vede in lui il centrocampista perfetto per Pesaola. Niente di più corretto. Bianchi è un giocatore arcigno e tenace, un mediano puro con un tiro stratosferico che spesso ha tolto le castagne dal fuoco al mitico Petisso Pesaola che doveva vedersela anche col Cabezon Omar Sivori e con Josè Altafini, o almeno così credeva. Bianchi è un uomo taciturno ed introverso ma quando c’è da combattere lo fa con il sangue e con i denti così alla fine della stagione ’70-’71 è costretto a sloggiare per manifesta incongruenza con Corrado Ferlaino: sono passati 5 anni da quando è approdato sotto la corte di Partenope ed è diventato un leader. Il campionato andò molto bene e lui pretendeva i premi ai calciatori come stipulato ad inizio stagione che Ferlaino non aveva ancora preventivato, o almeno così pensava Ottavio. L’ingegnere aveva già stipulato il tutto ma ormai la goccia aveva fatto traboccare il vaso, la lite fu durissima e Bianchi tornò al Nord, all’Atalanta. Fortunatamente fu solo un arrivederci.
17 Maggio 1987.  L’ultimo match di un campionato che resterà nella storia della città di Napoli. Napoli-Ascoli 1-1. Ci sono i festeggiamenti, ci sono tutti o quasi. Bianchi va via. Lui era così, uomo del profondo nord.

Era taciturno, strideva con la città. Quando aveva del tempo libero andava con Sormani a cacciare nei dintorni di Castelvolturno e non usciva mai. Non aveva rapporti con i suoi calciatori. Lui è sempre stato chiaro con la città e la troppa ammuina: “Quando allenavo il Como dovevo fare l’incendiario per accendere un po’ di entusiasmo. A Napoli ho sempre fatto il pompiere”. Purtroppo per lui questo atteggiamento non piaceva ai ragazzi che erano assolutamente rapiti dal fascino di Diego Armando Maradona, come dargli torto, e così alcuni di loro, Garella, Giordano, Ferrario e Bagni, nella famosa “rivoluzione di maggio” chiedono a Ferlaino l’immediato esonero di Ottavio Bianchi con un comunicato stampa perché “Non ha alcun rapporto con staff e giocatori”.
Ferlaino ascoltò le proteste e vendette i calciatori. Non si può esonerare l’allenatore che ti ha fatto vincere il primo scudetto ma ormai il rapporto è logoro e mettersi contro il più grande calciatore di ogni epoca non è sempre la migliore scelta. Maradona dall’Argentina continua a mandare frecciatine non troppo velate sull’accaduto, arrivando a dire che se al suo ritorno Bianchi sedeva ancora sulla panchina del Napoli lui non sarebbe stato più il suo numero 10. Bianchi era seccatissimo da questi attacchi e chiedeva rispetto dei ruoli, arrivando a dire “Maradona mi chiami Sig.Bianchi” ma tutto si sistemò ed arrivò anche la Coppa UEFA, l’ultima coppa anche perché “Vinco la coppa e vado via” fu il suo laconico addio prima delle eliminatorie.
Il passo d’addio è la sostituzione di Careca con Raffaele Di Fusco, secondo portiere. Bianchi non fu più l’allenatore del Napoli fino al 1992 dove riuscì a salvare la squadra che si avviava verso il decennio più brutto della sua storia.
Ferlaino, nonostante l’acredine, stima infinitamente il condottiero che gli ha fatto vincere tanto e nel 1994 lo sceglie come dirigente di fiducia, lui ripaga portando in panchina un certo Marcello Lippi, ometto dai capelli bianchi che farà una discreta carriera da allenatore.
Stiamo parlando di un uomo particolare, un uomo solitario e solo, un uomo che dice di se stesso “Mi chiamo Bianchi, un cognome anonimo che mi calza a pennello” ma per noi non è per niente anonimo Mister. Chi ama non dimentica, grazie di tutto.