Da 0 a a 10: l’annuncio shock di Spalletti, la clamorosa mossa di ADL, la verità sull’erede di Luciano e la bugia sull’abbraccio di Di Lorenzo

Il Napoli batte anche l'Inter: in gol Anguissa, il capitano ed un Gaetano in lacrime. Spalletti, parole di addio a fine partita
22.05.2023 20:13 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a a 10: l’annuncio shock di Spalletti, la clamorosa mossa di ADL, la verità sull’erede di Luciano e la bugia sull’abbraccio di Di Lorenzo
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Zero a chi non saprà scindere l’evento storico, dal normale dispiegarsi delle pieghe del tempo. Napoli non finisce mai di raccontare, non puoi prendere solo un racconto e tralasciarne altri. L’annata resta intangibile, come una preghiera pronunciata a bassa voce da un popolo intero. Napoli accoglie, Napoli resiste, Napoli saluta quelli che decidono di orientare altrove le proprie vele. Non c’è rancore, ma sempre e solo lo stesso pensiero: che vi stata perdendo. Partenope è un’amante impegnativa e chi nun tene coraggio nun se cocca ch' 'e femmene belle. 

Uno il cambio, che fa incazzare Osimhen e chi lo conosce già sapeva che si sarebbe incazzato. È la sua natura, sarebbe stupido giudicarlo. È il motivo per cui è così tanto forte: senza quella parte lì, non sarebbe il capocannoniere. È il richiamo primordiale per la contesa, lo scopo per cui s’è riprogrammato da bambino: inseguire la palla, provare a scaraventare quella palla in fondo alla rete. È Jimi Hendrix che brucia la sua chitarra, che brucia per la sua chitarra e la sua musica. Victor è legato in maniera viscerale al suo compito, alla sua arte. Sarà stato il primo a scusarsi con Simeone e Spalletti dopo l’episodio. 

Due le giornate che mancano ed è successo a tutti, proprio a tutti, nessuno escluso, di incontrare il Napoli e sentirsi tremendamente inferiore. Non solo nel risultato, ma nell’essenza, nelle idee, nell’ardore. Spalletti è Tarantino, Di Lorenzo è il Black Mamba che completa la lista: da Bill a Simone Inzaghi, con la tecnica dell’esplosione del cuore con le cinque dita. “Se vuoi essere il migliore, devi battere il migliore”: detto, fatto.

Tre che lo aspettano, ma lui se ne frega. Kvaratskhelia s’è abituato a convivere con lo sguardo del mondo, lo sente addosso, sa che tutti si aspettano qualcosa, una giocata, un tunnel, una sterzata, una visione o qualcosa che nemmeno riesci a definire. E Khvicha non tradisce mai quello sguardo, quell’attesa, quella aspettativa. Riesce a dare un senso differente ad ogni pallone che tocca, rende unica ogni terzina della sua poesia. Ed è un linguaggio mondiale, che non ha bisogno di traduzioni o interpretazioni: è bellezza universalmente accolta come un sole che sorge e tramonta tante volte solo per te. Sei luce Kvara. Magia e solitudine, mistero e fede che dimora su quella fascia che è una zona di culto. 

Quattro gialli in 23’. Gagliardini avrebbe dovuto prenderne quattro di cartellini nella prima del primo tempo. Aveva scambiato la gara per un match di Calcio storico fiorentino, distribuendo mazzate dal primo minuto e restando in campo venti minuti in più per gentile omaggio di Marinelli. Totalmente fuori controllo, come un elefante rinchiuso in una escape room di un metro quadrato. 

Cinque secondi di follia? No. L’annuncio shock di Spalletti fa pensare che non ci siano margini di manovra: “È una scelta ragionata, non si torna indietro”. Luciano in conferenza è razionale, forse pure troppo, che fa quasi spavento per la lucidità con cui si congeda dopo una stagione così. La forza degli uomini e dei destini, che si rintana dentro un lungo silenzio. Uno strano modo per chiudere un campionato da eroe, un grande rimpianto per un ciclo che poteva aprirsi. Sarebbe una partita da giocare a carte scoperte: la portata dell’impresa meriterebbe una spiegazione articolata. Ci dispiace un sacco mister. 

Sei i nomi degli eredi, ma nelle prossime ore diventeranno molti di più. De Laurentiis si giocherà le ultime fiches con Spalletti, proverà la mossa clamorosa della riconciliazione: un suo grande classico. Destini fragili, di una città che nella leggenda si regge su un uovo sotto ad un castello. Fragile e fertile, precario e capace sempre di darsi una nuova vita. Napoli distrugge e crea, azzera e riparte, mica dimentica. Siamo ad un nuovo bivio, un nuovo inizio. È la nostra condanna. È la nostra forza. Qualcosa arriverà, un nuovo amore, un nuovo profeta. L’estate scorsa, più che mai, ci ha insegnato ad accogliere gli addii come una grande opportunità.  

Sette allo spietato Gaetano. Si fa quei trenta metri con lo zaino dei sogni sulle spalle, e quanto pesano gli anni di sudore per provare a conquistarla quella maglia, un pomeriggio così, l’abbraccio della gente che sei tu. Potevi arrivarci sfinito, consumato dall’emozione, svuotato nelle gambe. E invece Gianluca fa lo scavetto per consacrarsi dinanzi all’altare del tempo come l’unico calciatore napoletano a far gol nel Napoli del terzo scudetto. A volte si abusa della locuzione per sempre, altre volte è riduttiva. E chi se la scorda più un pomeriggio così… 

Otto alla caparbietà di Anguissa, che s’era messo in testa di far gol già nel primo tempo. Tentacolare Frank, che apre la falcata e arriva dappertutto, con la forza del pensiero e col pensiero della forza. Intelligenza e fisicità, per prendere in mano le chiavi della partita e farne ciò che vuole come nelle giornate migliori. La giravolta su stesso che pare Carolina Kostner sui pattini è molto più difficile di quanto sembri, molto più agevole è  comprendere che il terzetto Zambo-Lobo-Zielu sia una delle cose da preservare per la prossima stagione per le loro meravigliose diversità. Si completano, come nella dichiarazione d’amore di Jerry MaGuire. 

Nove assist in campionato, undici in stagione con sette gol. I numeri sono quelli di Pietro, che ha questo contratto in scadenza nel 2024 e va preservato. Zielinski è speciale, anche nelle sue fragilità, nei suoi passaggi a vuoto, perchè quando s’accende come lui ne trovi pochi. Quante volte mi hai fatto innamorare. E quante volte mi hai fatto disperare. Genio e discontinuità, luce e ombra. Un continuo viaggio sulle montagne russe. Chissà cosa sarebbe potuto diventare, con una personalità diversa. Capace di tutto: di dominare, di assentarsi, di prodezze incredibili, di prestazione totalmente impalpabili. Da tempo ne invocavamo la maturazione, forse bisogna accettare l'idea che Pietro sia questo. Con tutti i suoi pregi, tanti. Con tutti i suoi difetti, meno di quelli che si racconta. Lo terrei, senza pensarci neanche un secondo.

Dieci all’arcobaleno di Giovanni. C’è la meraviglia, dopo la tempesta, nel sinistro del Capitano, che la C non può che essere maiuscola. Di Lorenzo sa cosa vuol dire la pioggia, l’ha sentita addosso, ne ha masticato l’amaro che s’alza sui campi impolverati di periferia. È giusto che sia lui a suggellare questo scudetto azzurro, disegnando nel cielo una parabola che pare destinata all’infinito. Corre Giovanni, corre verso Luciano che gli ha dato quella fascia e consacrato alla storia. “Glielo avevo chiesto tante volte” dice Spalletti, con la piccola bugia che simula la gioia per quel gesto. La riconoscenza rende gli uomini speciali. Giovanni è speciale, ben oltre quel gol che se l’avesse segnato qualcun altro ci avrebbero fatto le edizioni straordinarie dei telegiornali. Ti do questa notizia in conclusione: Giovanni non è l’anagramma di Uomo con le palle, ma dovrebbe esserlo. 

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