Da Zero a Dieci: gli insulti della folla, Pavoletti già sul mercato, l’annuncio di Rog, l'attimo fuggente di Giak le lacrime di coccodrillo

(di Arturo Minervini) - Zero a questa insopportabile ed inspiegabile aria da aristocratici del niente di una gran parte della tifoseria del Napoli, che dopo 45’ aveva distribuito più insulti che pasti ad una mensa della Caritas. Nel mirino un po' tutti, perché “Lo Spezia mica è una squadra di calcio” e se non sei avanti dodici a zero nel primo tempo vuol dire che sono davvero tutti da buttare. Ma, con questa mentalità, pensiamo veramente di arrivare lontano? Fatevi una camomilla, prendete una bella tisana. Se non funziona vi consiglio il Lexotan.
Uno come le presenze stagionali di Rafael. Storia strana quello del brasiliano devoto a Dio ma che dall’alto nella sua avventura in azzurro ha avuto solo una breve illuminazione, a Doha con quella parata su Padoin nella lotteria dei rigori contro la Juve. Poi tanto amaro da buttare giù ed un pregiudizio che lo accompagnerà per tutta l’esperienza in azzurro. “Se vuoi veramente amare, devi imparare a perdonare”.
Due ad un calendario ed una formula della Coppa Italia sempre più insensata. Lo Spezia, in vacanza dopo le grandi fatiche natalizie, ha avuto solo tre giorni per preparare la sfida del San Paolo. Come se Rocky avesse preparato lo scontro con Ivan Drago andando in vacanza alle Maldive, atterrando a Mosca qualche giorno prima dell’incontro con ancora il segno dell’abbronzatura ed avrebbe preteso di non farsi “Spiezzzzare in due”. Che senso ha?
Tre come il numero dei centrocampisti che ci hanno proiettato a spasso nel tempo. Rog (che con quell'assist annuncia al mondo la sua grandezza), Diawara e Zielinski sono poco più che ragazzini, questo dice la loro carta d’identità, eppure sono una visione futura di quello che saranno. Tre diamanti incastonati in mezzo al campo, “un almeno tu che sei diverso” ripetuto al cubo per tre gioielli che nell’universo del nostro calcio hanno pochi eguali, un episodio mancante in “Ieri, Oggi e Domani", perché con questi tre pensare al passato sarebbe da dinosauri.
Quattro il numero che il tabellone luminoso del 4° uomo era pronto a richiamare in panchina al minuto 56’. Era tutto pronto, Callejon pronto a ricordare al mondo la sua importanza, e Giaccherini destinato ad accomodarsi in panchina con una grande insufficienza sulle spalle. Nel calcio, però, c'è la possibilità di rivoltare il proprio destino con un semplice, meraviglioso, inatteso gesto. Accade che Emanuele rubi al Callejon sullo sfondo il classico movimento, che Insigne accenda la luce ed ecco la magia. Quell’insufficienza assume le sembianze di un qualcosa da ricordare per sempre, un’emozione da chiudere a doppia mandata nella cassaforte della memoria. È proprio vero che “in un solo momento può accadere ciò che non si sperava accadesse neppure in un anno”.
Cinque all’esterno destro dalla distanza di Maggio nel primo tempo, un revival di emozioni passate come un disco in vinile che viene accarezzato da una testina fonografica ormai impolverata. Di Christian apprezziamo da sempre lo spirito, la professionalità e questa sua incredibile coerenza nel credere di poter segnare un gol da fuori area. Con affetto sincero. Ma sincero veramente.
Sei all’esordio di Pavoletti. Buoni movimenti, condizione in crescita ed una rete sbagliata che ha già fatto disperare metà dell’universo azzurro. Tutta l’incoerenza e la frenesia si è rovesciata sul nuovo attaccante su quel clamoroso gol divorato, perché lo sappiamo che nella testa di molti (e sulle tastiere di tanti sul mondo social) è subito sbocciato il pensiero “Ma perché non ci teniamo Gabbiadini!”. Eh già, vendiamolo Leonardo, mettiamolo di nuovo sul mercato per qualche spicciolo, anche se dubito che dopo aver sbagliato quel gol qualcuno vorrà acquistarlo. Facciamo i seri!
Sette assist di Insigne in stagione. Quando pensiamo a Lorenzo spesso dimentichiamo la sua natura, ci ostiniamo a pensare che possa sfuggire dalla stessa. Può accadere che si perda come Alice nel Paese delle non meraviglie, che risulti quasi fastidioso sul terreno di gioco, ostinato come è nella ricerca della giocata impossibile. È come un malato del gioco a Las Vegas, che inserisce mille monetine nella slot. Insiste, insiste, insiste. Sa che il jackpot arriverà. Nel suo caso però non si chiama fortuna, è un immenso talento che porta sempre qualche frutto. L’assist a Giaccherini ha lo stesso rumore dei soldi che cadono sul fondo di una slot se chiudete gli occhi.
Otto-due, come gli 82’ minuti impiegati da Gabbiadini per realizzare tre reti tra Fiorentina, Sampdoria e Spezia. Il bacio della principessa è arrivato davvero in ritardo per risvegliare il bello addormentato a Castel Volturno, una riscossa tardiva che acuisce solo i rimpianti e lascia spazio ad alcune considerazioni. Cosa è cambiato adesso? Nulla, perché il Napoli è lo stesso. Semplicemente Manolo gioca bene perché si è tolto la zavorra della responsabilità, ha già letto il finale di questa storia ed ora può scrivere liberamente qualche pagina prima dell’epilogo. Il suo talento non si può discutere. La sua capacità di reggere la pressione di una piazza come Napoli, assolutamente sì. Saranno lacrime di coccodrillo al suo addio, perché non si può essere quello che non si è. E spesso non serve nemmeno ricercare un colpevole.
Nove a quel trattore che gioca senza mai muovere un muscolo facciale, come se la fatica e lo sforzo non gli appartenessero. Sul primo gol sembra Toretto che corre il suo quarto di miglio sfidando dei bambini su auto a pedali, tanta è la differenza in accelerazione. Zielinski sembra davvero provenire da un pianeta differente, perché sa fare tutto con quell’apparente tranquillità che appartiene solo ai più grandi. Capisci, gara dopo gara, che le chiavi del centrocampo azzurro sono sempre più in mano sua, poi pensi al nome, Piotr o anche Pietro e tutto diventa più chiaro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. A te darò le chiavi del regno dei cieli". Amen.
Dieci a questo Napoli che è una realtà incredibile, che può essere ignorata solo da cieche anime che hanno le palpebre cucite da filo di ferro. Chi sono i titolari? Chi può essere considerato riserva in una squadra che ha già schierato 25 calciatori ed ha sempre tenuto un livello altissimo? Un centrocampo di adolescenti, in panchina gente come Callejon, Hamsik, Pavoletti e poi Ghoulam e Koulibaly in Coppa D’Africa. E Milik, dove lo mettiamo? Un elenco entusiasmante di una rosa costruita con oculatezza e con un grande sguardo verso un futuro che assume contorni sempre più rosei. È la tela di un pittore che viene impreziosita da colori sempre più vivaci, un ritratto dell’impressionismo che può essere ammirato solo se guardato da lontano, senza cercare troppe definizioni o provare a spiegarne il significato. D’altronde “Se i quadri si potessero spiegare e tradurli in parole, non ci sarebbe bisogno di dipingerli…”
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