Da Zero a Dieci: la truffa del Napoli al Torino, la reazione da panico di Roma, il gesto nascosto di Higuain ad Insigne e la telefonata che cambia la storia

(di Arturo Minervini) - Zero alla truffa perpetrata dal Napoli ai danni del Torino. Chiara violazione al regolamento del gioco da parte degli azzurri, che all’Olimpico presentano dodici calciatori, seppur incredibilmente somiglianti. Non c’è altra motivazione che rientri nello scibile umano per spiegare le apparizioni di diversi soggetti nel campo, in maniera simultanea, che indossano la maglia numero 5. Nemmeno Paolo Brosio in visita alla Madonna di Fatima avrebbe mostrato più commozione nel vedere manifestarsi il brasiliano da una parte all’altra del campo, come se avesse incontrato Nikola Tesla ed essere entrato in possesso di una macchina per il teletrasporto. Il recupero in area all’84’ su Immobile è bello quanto un gol in rovesciata da metà campo. Dedizione.
Uno il tiro in porta del Torino. Purtroppo, ancora una volta, il Napoli subisce gol sull’unico reale pericoloso creato dagli avversari. Una costante imbarazzante in questo girone di ritorno, l’ennesima insicurezza di un Reina più ideologico, nelle dichiarazioni, che pratico nelle parate. Sul gol di Peres, lo spagnolo si inchioda al terreno come una tenda canadese picchettata da un campeggiatore livello “Noi uomini duri”. Le parole sono meravigliose, hanno in se una grande forza, ma restano vane se non accompagnate dai fatti. La questione portiere è seria ed in estate andrà affrontata. Per il bene di Pepe e di quel Napoli che lo stesso Reina ama alla follia. Come tutti i grandi amori, però, si finisce per farsi del male se non si ha il coraggio di dirsi le cose in faccia.
Due olive nel Martini per Marek. A Torino arrivano gli assist numero 10 ed 11 del suo campionato, proprio nella gara con maggiore pressione dell’anno. Questo nessuno lo dirà. Perché ci si affezionia alle idee e spesso si ha paura di tradirle. “Nelle partite importanti sparisce”. Regola che poi vale in eterno, quando ci sarebbero decine di esempi che dimostrano il contrario. Esperienza totalizzante lo slovacco, una visione a 360° di quello che può accadere e si può fare sul terreno di gioco. Oramai non è lui ad indossare l’azzurro, ma il contrario. E’ un pezzo di storia, di passato, presente ed uno scrittore del futuro. “Ho sentito la sua assenza. E’ stato come svegliarsi un giorno senza denti in bocca. Non c’era bisogno di correre allo specchio per sapere che non c’erano più”.
Tre chiamate per ottenere una risposta. Quando Rafa Benitez nel dicembre del 2013 aveva telefonato a Kalidou Koulibaly, aveva avuto bisogno di tre chiamate per convincere il difensore che era veramente lui dall’altro capo della linea. Una chiamata che ha cambiato il corso della storia del Napoli, che si ritrova in rosa un ragazzo destinato a diventare tra i primi tre difensori centrali del mondo. Commovente quasi nei suoi tentativi Belotti, spazzato via dallo strapotere di Kalidou come un moscerino nella bocca di una balena. “La potenza è nulla, senza controllo” recitava un noto spot. La strapotenza di Koulibaly è diventata illegale dopo il controllo che Sarri è riuscito a trasmettergli. Testa e macchina da guerra. Razionalità e forza primordiale. Il mix è esplosivo. A volte una telefonata allunga davvero la vita. E te la cambia.
Quattro alla gufata della vigilia di Giampiero Ventura. “Se Jansson farà bene contro Higuain allora vorrà dire che siamo davvero sulla strada giusta”. Caro Giampy, qui non solo la strada non è quella giusta, ma bisogna proprio regalare un navigatore gps al ragazzo. Più smarrito di Tyler Durden dopo una crisi spirituale sul mondo.”Toccare il fondo non è un ritiro spirituale, non è uno stramaledetto seminario”. No. Toccare il fondo è provare a pensare a come fermare Gonzalo, mentre lui sta già esultando per la rete numero 33. Da psicoanalisi.
Cinque i pali colpiti da Higuain, primo in serie A. Meraviglioso il destro telecomandato che si stampa sul palo di Padelli, che lo avrebbe ulteriormente avvicinato al record. Non è però quella la cosa più bella della sua gara. La svolta di Gonzalo si mostra ad inizio ripresa. Contropiede, Insigne ha due opzioni: Callejon a destra ed il Pipita a sinistra. Lorenzo sceglie il tiro. José si arrabbia, Gonzalo manda giù il boccone (sappiamo quanto sia vorace di palloni) e con una forza mentale ed un controllo visto in poche occasioni fa venti metri per dare il cinque al compagno e rincuorarlo. E’ forse questa l’istantanea più bella della sfida dell’Olimpico. La chiave di lettura più efficace dei nuovi passi del Pipita. Passi che si incrociano con quelli della squadra, un meraviglioso solista che diventa direttore d'orchestra. Dolce sinfonia chiamata gruppo.
Sei secondi di panico nella capitale. Registrato alle 22.20 della notte di domenica, un improvviso black-out a Roma. Panico tra la gente, strade affollate, cittadini imbestialiti per gli ennesimi disservizi della città (per Giannini di Ballarò la città con più disservizi, come per la sporcizia resta Napoli). Solo dopo accurate verifiche, le forze dell’ordine hanno appurato i motivi dell’improvviso buio. I tifosi della Roma avevano spento in contemporanea la tv al fischio finale di Torino-Napoli, generando il flusso anomalo di elettricità. La notizia è stata accolta con spirito propositivo dal patron Aurelio De Laurentiis, pronto a girare alla Garbatella una nuova serie tv. “I Rosiconi”.
Sette reti in campionato per Josè, tredici in stagione con tredici assist. Aride cifre, che poco raccontano dello spagnolo. Il suo lavoro è come inchiostro impresso sulla pelle, indelebile, incancellabile. La sua dedica alla piccola India (che oggi compie due anni, auguri!) dopo la rete andrebbe ricambiata dai tifosi. Marchiato sulla carne, fondamentale per il lavoro, per l’intelligenza per la cattiveria agonistica. Scatta più volte di un semaforo rosso quando vai di fretta, non perdendo mai la fiducia che la palla possa arrivare con i tempi giusti. E’ questa la sua più grande forza. La costanza. Scattare sulla linea dieci, cento, mille volte per avere magari un solo pallone buono. Quello che ti fa urlare di gioia. Che ti fa pensare a tua figlia. All’amore. Quello stesso che Napoli non può non provare per un inarrestabile macchina come Josè.
Otto ad un Maurizio Sarri da pelle d’oca nel dopo gara. Ha gli occhi lucidi e non ha nessuna vergogna nel mostrarsi alle telecamere emozionato. “Ho faticato tanto, non farò la cazzata di perdere la Champions perché ci penso una settimana prima”. Parole che toccano nel profondo, che hanno il rumore di una sveglia che suona presto al mattino. Il freddo acre, le giacche a vento e le docce che tirano fuori acqua ghiacciata. Chi è passato dalla provincia sa cosa vuol dire, assaporare il sapore della polvere. Chi ha sacrificato tutto se stesso per la propria passione sa che non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta. Sarri lo sa bene. Ha masticato i pregiudizi, addentato le emozioni di una Napoli che ti investe con il suo calore e partecipazione. Picchi emotivi che fanno riflettere, addolciscono il cuore in un finale di campionato con gare senza senso. Il senso, il vero senso dello sport, è Maurizio che omaggia Superga, che piange ad un passo dal traguardo, che ricorda al mondo che sudare è più dignitoso che trovare le porte aperte. Meglio in tuta, che con il colletto bianco.
Nove e ci sei ancora tu. Solo tu. Sempre tu. Che fai scoppiare dentro al petto il cuore come fosse un chicco di mais su una padella rovente. Sempre Gonzalo, che raccoglie tutte la paure e le lega ad un sasso per lanciarle in fondo al mare. Solo tu, con il suo sorriso per un aggancio sbagliato che ci ricorda un ragazzo in un campetto, senza milioni sul conto e solo la voglia di fare gol. Quella voglia soddisfatta per 33 volte in campionato. Nemmeno il finale di Titanic pùò essere più straziante, per un tifoso avversario, di Gonzalo che ha il pallone tra i piedi e può annusare l’odore della porta. La fiuta come un velociraptor nella prateria, sente la paura del difensore se ne nutre e la trasforma in energia. Istinto che si accoppia con il genio dal tocco lieve, quando infila all’angolino il pallone che trasforma la salita in discesa. E’ l’Architetto di Matrix, che modella il suo mondo e quello del Napoli. Il rifiuto è la più prevedibile delle reazioni umane. Noi ci rifiutiamo di vederlo con una maglia diversa da quella azzurra.
Dieci al cammino del Napoli. Dopo una lunga maratona siamo entrati nello stadio. Guai, però, a fare la fine di Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra del 1908. Lo stadio è tutto in piedi, mancano pochi metri alla gloria. Cascare contro il Frosinone sarebbe da suicidio. Un ultimo sforzo ancora. Il fiatone aumenta, il battito del cuore sale, come quello di Pantani alla fine di una salita. Vorresti cedere alla tentazione di alzare le braccia al cielo, di gridare al mondo che ce l’hai fatta. Non è ancora quel tempo. Mani sul manubrio, testa bassa e pedalare ancora. Lo stadio attende che lo striscione del traguardo venga superato. Corri Napoli. Corri ancora. Segui l’esempio di Confucio: “Quando corro tutti i pensieri volano via. Superare gli altri è avere la forza, superare se stessi è essere forti”. Una lezione che vale per questa ultima gara e per la prossima stagione, dove non si dovrà pensare alla Juve, ma a migliorare se stessi prima di tutto.
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