Guido Clemente di San Luca a TN - "Propagandare la convinzione che s’è già vinto è un errore colossale"

Guido Clemente di San Luca a TN -  "Propagandare la convinzione che s’è già vinto è un errore colossale"
mercoledì 8 marzo 2023, 11:10Esclusive
di Redazione Tutto Napoli.net
Adesso naturalmente mi si dà della ‘ciucciuvettola’. Non sarà forse che, vedendo pallone da 60 anni, uno qualcosa ha imparato?

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni in merito al ko di venerdì contro la Lazio.

Adesso naturalmente mi si dà della ‘ciucciuvettola’. Non sarà forse che, vedendo pallone da 60 anni, uno qualcosa ha imparato? Aggiorno la conta. Mancano 13 partite, abbiamo 15 punti sulla seconda. Se questa le vincesse tutte, arriverebbe a 89 (50+39=89). Perciò, per la matematica, dobbiamo farne 25 (65+25=90). Cioè 8 vittorie ed 1 pareggio. Possiamo perderne 4. Abbondano analisi – secondo me – superficiali sulla sconfitta interna con la Lazio. Sinteticamente, per punti.

1. Propagandare, avvalorandola, la convinzione che s’è già vinto è un errore colossale. Non solo perché può ingenerare un dannoso rilassamento della indispensabile ferocia dei giocatori. Ma anche perché il calcio (come la vita in genere) suggerisce di mai fidarsi. All’improvviso, quando meno te l’aspetti, si commette qualche errore di conduzione, il Kairos smette di assisterti, il regolamento viene applicato in maniera iniqua. E così può finire che il trend s’inverta pericolosamente. Del resto, ad alimentare queste stolte convinzioni – di abbandonare cioè la scaramanzia, ché sarebbe palla al piede nel processo di sedicente emancipazione – si fa l’interesse dell’avversario (vogliamo dire del nemico?). Cui prodest? A chi giova, conviene chiedersi. Ecco perché la dietrologia.

2. Il fatto che, andando alla Juve, Sarri abbia tradito soprattutto se stesso ed il credo che aveva mostrato di professare (ben oltre le idee relative al rettangolo di gioco), rinunciando a restare per sempre un simbolo azzurro, e meritando per questo il nostro disprezzo, non può opacizzare due verità per me incontrovertibili. a) Che sia comunque un grandissimo allenatore, per nulla corrispondente al luogo comune che lo vuole ‘integralista’, rigidamente legato ad un solo schema (per di più ottundente la creatività). E b) che il Napoli di oggi trovi la genesi nel disegno rivoluzionario da lui avviato, ripreso per i capelli da Gattuso dopo la infelice parentesi di Ancelotti, e portato a compimento (così speriamo ardentemente) da Spalletti.

3. Per essere tecnicamente più precisi, Sarri non ha fatto alcun ‘catenaccio’ (stile Trapattoni, per intendersi). Ha solo sapientemente messo i suoi nelle condizioni di impedire al Napoli di praticare il gioco abituale. Ha costruito un pressing corto, su due linee alte e strettissime, in modo da inibire la rete di passaggi caratterizzante la manovra dei ragazzi di Spalletti. Ha così riequilibrato le forze in campo, e s’è approfittato sia del conseguente e comprensibile disorientamento degli avversari, sia del kairos (che stavolta ha sorriso ai biancocelesti e non a noi).

4. È certamente vero che non è parso «il solito Napoli». Ma questo non soltanto perché mancasse «la solita fame», bensì pure perché il ‘comandante’ non si è limitato a riproporre quello che finora altri (ad esempio Mourinho) hanno fatto a Fuorigrotta. Ha adoperato, per contrastarla, la medesima ‘cultura’ calcistica seguita dal Napoli sin dal suo avvento. Purtroppo stavolta è stato Spalletti a capirci poco. Perché, di fronte alla scelta tattica di Sarri, prevedendola, avrebbe dovuto preparare le contromisure in settimana, allenando i suoi anche a scavalcare il centrocampo con lanci lunghi per l’uno contro uno di Osimhen e Lozano. Insomma, alternando il solito modo di attaccare centralmente avvalendosi della fitta rete di passaggi veloci e di qualità con la soluzione ‘lunga’. Così avrebbe spiazzato gli avversari, confondendoli. Ed sorprendendoli con imprevedibilità. Inoltre, al di là del possibile rilassamento dovuto al clima di irresponsabile festa prematura, affiora qualche appannamento fisico. Mister amato, non è il caso di dare un po’ di minuti in più a Ndombele (per Anguissa), a Demme (per Lobotka), a Bereszynski (per Di Lorenzo) ed al Cholito (per Osimhen)? Oltre tutto – l’ha detto proprio lei della possibile insoddisfazione di qualcuno troppo sottoimpiegato – si terrebbe lontano il rischio di qualche sciagurata demotivazione individuale.

5. Si deve far tesoro della lezione ricevuta. Guai a sottovalutare il «campanello d’allarme». Non si può puntare soltanto a trovare «l’accelerata vincente». Talvolta bisogna saper sparigliare le carte. Certo, se va dentro la palla sul colpo di testa di Osimhen stampatosi sulla traversa si starebbero a dire cose diverse. Come sempre. Tuttavia, per far sì che resti un «ko episodico», bisogna imparare dagli errori. A cominciare da sabato con l’Atalanta. Perché se – Iddio non voglia – dovessimo malauguratamente incappare in un altro inciampo potrebbero aprirsi scenari infausti e inauspicati.

6. Un pensiero finale allo stadio. Una volta il nostro tempio rappresentava l’emozione ed i colori del tifo azzurro. Con gli insulsi divieti, peraltro fatti osservare non equamente (i supporter laziali – non si capisce come e perché – disponevano di bandiere, fumogeni e persino petardi), oggi sembra rassomigliare ad un teatro lirico o di prosa, con spettatori composti e paludati. Come recita un antico adagio, «Non si può buttar via il bambino con l’acqua sporca»! Le pur necessarie misure per contrastare i (pochi) delinquenti non possono comprimere la libertà di esprimersi di un popolo intero.