Guido Clemente di San Luca chiarisce: "Nessuno si augurava un cattivo esordio del Napoli"

Guido Clemente di San Luca chiarisce: "Nessuno si augurava un cattivo esordio del Napoli"
domenica 21 agosto 2022, 16:55Le Interviste
di Redazione Tutto Napoli.net
Leggo in giro di richieste di scuse, o di accuse di «sfascismo». Ne ricevo anche personalmente

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha parlato del momento di casa Napoli.

Gli ultimi eventi – convincente vittoria a Verona e completamento della campagna acquisti – hanno consentito di dar libero sfogo alla mentecattaggine, fin qui per fortuna abbastanza contenuta, se non addirittura latente, ed ora liberatasi dagli angoli remoti in cui era relegata. Solo menti miserabili avrebbero potuto pensare che le osservazioni svolte per provare a spiegare le ragioni del diffuso sentimento di insopportabilità da parte dei tifosi azzurri nei confronti di AdL e della società implicassero di augurarsi un cattivo esordio in campionato. Chiarisco subito ad evitare equivoci: alla fine, superando la grande sofferenza interiore, ho lasciato che la malatìa prevalesse sull’amarezza profonda, e mi sono abbonato.

Leggo in giro di richieste di scuse, o di accuse di «sfascismo». Ne ricevo anche personalmente. Si giudicherebbe tutto male «a prescindere», e si attribuirebbero ad AdL colpe su tutto, persino sul «buco dell’ozono, le scie chimiche e la guerra in Ucraina». E «si esagera», perché «il presidente doveva cambiare tutto. Anagraficamente non li poteva rinnovare, sarebbero costati una cifra blu». Falsi entrambi gli assunti. Il primo perché consiste in una evidente iperbole: nessuno ha attribuito ad AdL responsabilità che non abbia. Il secondo perché è sostenibile solo in minima parte.

Ma ragioniamo con ordine. Secondo coloro che – solo per semplificare – definisco ‘filo-governativi’, bisognerebbe congratularsi con AdL, compiacersi con lui e ringraziarlo perché il Napoli «da dodici anni è stabilmente ai vertici del calcio italiano», perché «dal 2011 si è piazzato quattro volte secondo e quattro terzo», e soprattutto perché non «si è improvvisato azienda». Anzi, «il Napoli è nettamente più performante di Napoli». La superficialità di questo argomento è pari soltanto all’amore per l’astratta idea della città che si professa, priva com’è di ogni legame con la realtà antropologica che essa effettivamente esprime.

Bisogna che si rassegnino, costoro, destinati come sono a fallire nella intelligenza di Napoli, esattamente perché il «ceto delle professioni» e «i tifosi organizzati» manifestano alcuni «concetti culturali» comuni. Quelli che trasversalmente segnano l’identità di un popolo. E che restituiscono il perché della passione per la squadra di calcio, vista e percepita – non rileva se sia, o no, eticamente o politicamente corretto – quale sua espressione esponenziale. Perseverano, costoro, nel rimanere poco attenti a cogliere l’umore diffuso, che – sia ben chiaro – proprio per quella passione è pronto subito a ricolmarsi di entusiasmo. Restano estranei dallo sforzo di comprendere (e riferire) ciò che si sente un po’ dovunque. Persino qui in Grecia, incrociati diversi napoletani, non ne ho trovato uno – dico uno, uno solo – che non fosse ad un tempo, per un verso, critico e deluso e, per l’altro, in attesa dell’esordio con il cuore spezzato in due: l’amore folle per la maglia azzurra da un lato, e l’entusiasmo smorzato dal modo di essere e manifestarsi del Presidente dall’altro.

Non è questione se gli acquisti siano buoni, oppure no (a prima vista sembrano esserlo, ma questo, come sempre, lo dirà il campo). No. A creare enorme disagio è il sentirsi obbligati ad esser rappresentati da un uomo rivelatosi povero di umanità. Che piaccia o no, che sia olegrafico o meno, i napoletani sono gente di cuore, e fanno fatica a dimenticare in uno schioccar di dita chi si è identificato con la nostra maglia. Se si è pronti a seppellire in un momento l’amore consolidatosi lungo tanti anni, si perde il senso del tutto.

Non si deve dunque far confusione tra ‘sfascisti’ (una sparuta minoranza, più o meno numericamente pari a quella dei filo-governativi) e la stragrande maggioranza dei napoletani. Se il clima si è fatto insopportabile è perché questi si son sentiti frustrati e amareggiati (non dalla campagna acquisti, ma) dagli atteggiamenti assunti da AdL (e dalle decisioni conseguenti). Nessuno discute che fosse necessario rinnovare. Ma c’è modo e modo. E, com’è stato attentamente rilevato, è innegabile «la sufficienza con cui è stato liquidato il patrimonio storico/sentimentale». La verità – sembra piuttosto evidente – è che si è voluto finalmente sfogare il rancore accumulato, liberandosi definitivamente di coloro che si ribellarono (giustamente) ad un ritiro imposto illegittimamente. Ma lo spogliatoio andava ‘bonificato’ soltanto nella testa dei nostalgici del Napoli imbelle di Benitez e Ancelotti.

Nessuno che conserva la testa non soltanto per dividere le orecchie può mai credere che sceicchi o fondi finanziari opererebbero senza intenti speculativi, o verserebbero «centinaia di milioni a fondo perduto per vedere i napoletani festeggiare». Quello che, però, questi non sopportano è la doppiezza, la inautenticità. I fondi non hanno alcuna pretesa di coltivare la passione. Sono asettici. Considerano la passione un fattore del processo aziendale. La cavalcano dichiaratamente, senza ambiguità di sorta. E non considerano l’attività relativa come un ‘divertimento’. Se per spiegare si volesse proporre un parallelo politico, potrebbe dirsi che AdL sta ai tifosi azzurri come Letta ai potenziali elettori di sinistra. La maggioranza delle persone di quell’area politica non si sente da questi rappresentata. La medesima situazione, mutatis mutandis, ricorre fra AdL e popolo azzurro. Con una non insignificante aggravante: per il presidente del Napoli non si vota.

Una nota merita il senso di rivalsa sul cd. ‘movimento A16’ (del quale chi ragiona in maniera intellettualmente onesta, pur senza manifestare adesione, non può non registrare l’esistenza). Lascia basiti il calvinismo ad intermittenza di chi s’esalta nel celebrare l’efficientismo aziendale, ma non denuncia la grave anomalia della multiproprietà, astenendosi dal condannarla duramente.

Si va magnificando l’operazione realizzata con la campagna acquisti/cessioni, per il rigore economico/finanziario con cui è stata condotta: abbassato il tetto ingaggi e ringiovanita la rosa. Come se questo, però, non fosse costato! Eccome! 20 milioni per Kim. 15 per Anguissa. 15 per Olivera. 10 per Kvaratschelia. 8 per Ostigard. 15 per Simeone. 32 per Dombele. 35 per Raspadori (con 10 in meno si sarebbe potuto prendere il più forte e funzionale Szoboszlai). Un saldo passivo che supera i 40 milioni. Senza considerare il probabile ingaggio di Navas (con la metà si poteva confermare Ospina, già ambientato e persino più giovane). E soprattutto senza considerare che si poteva tenere Mertens, spendendo poco e non mortificando la passione. A ciò si aggiunga la persistente «sostanziale assenza di investimenti infrastrutturali».

Infine, l’esaltazione per il nuovo gioco del Napoli mi pare effimera. Sia perché di nuovo mi pare esserci ben poco (il tratto fondamentale resta la linea di pensiero da Sarri trasferitasi a Gattuso, saltando l’infausto periodo di calcio liquido ancelottiano). Sia perché è ancora troppo presto (che ne sarà della gestione tecnico-tattica di Raspadori? E di Simeone? E di Dombele?). Che si giochi più in verticale sembra più una petizione di principio che una realtà verificata. L’aspirazione ad un «Napoli senza passato» sembra più la frustrazione dei nemici della rivoluzione sarriana che la constatazione del gioco sul campo. Del resto, Spalletti avrà commesso diversi errori, ma non è affatto privo di furbizia. Che il nuovo Napoli non abbia «nel Dna lo sconfittismo del decennio precedente» (posto che questo sia vero) è tutto da dimostrare. Il Napoli ha espresso la medesima «autorevolezza» e «capacità di reagire alle avversità» esibita da Sarri in poi (tranne che nella infelice pausa ancelottiana). Solo gli stolti hanno potuto definirla squadra «in alto mare, praticamente al naufragio«.

Voglio concludere queste note – un po’ più lunghe del solito (ma le circostanze forse lo richiedevano) – manifestando piena adesione alla dichiarazione/appello di Maurizio De Giovanni: «Sullo stesso carro, sul quale si sale alla nascita e non si scende più». Nonostante tutto! Il 2 luglio dichiarai a Radio Marte che «Se il Napoli non cambia nessuno, soltanto inserendo i due innesti già acquisiti (e se dovesse andare via Politano prendendo Deulofeu), è la squadra più forte per vincere lo scudetto». Figuriamoci se possa aver cambiato idea. Andiamo uniti a battere il Monza!