Guido Clemente di San Luca scrive ad ADL: "Vede, caro Presidente..."

"Vede, caro Presidente, lo slogan urlato dagli ultras «Napoli siamo noi» è una clamorosa, autentica, sonora sciocchezza".
06.04.2023 12:30 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca scrive ad ADL: "Vede, caro Presidente..."

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha scritto una lunga lettera al presidente Aurelio De Laurentiis.

"Sabato avevo scritto il pezzo che segue. Ho scelto di non pubblicarlo prima della partita col Milan, soprattutto per evitare di alimentare le polemiche, e un po’ anche per scaramanzia. Eccolo.

“ Quando mia moglie (dolcissima e preziosa ‘badante digitale’ del sottoscritto) ha scoperto, mentre lo stava facendo on-line, che a me abbonato il biglietto per il ritorno di Champions col Milan costava 189 €, ha detto che le sembrava immorale. Eh sì, perché per i catto-comunisti come noi – che certo non viviamo di stenti, ma, campando di stipendio, non navighiamo nell’oro – (vituperati dal Presidente, perché a suo dire «invidiosi») quei soldi ben potrebbero (e dovrebbero) esser spesi in opere di bene.

Ecco spiegata nel modo migliore la ‘malatia’. È stato sufficiente incrociare il mio sguardo e lei ha cliccato per pagarlo. È qui che sta la ragione della drammatica contraddittorietà fra un modo d’intendere la vita che (non invidiamo, ma) disprezziamo e la passione infinita per l’azzurro. Sulla quale si gioca per far soldi, indispensabili per competere in un sistema che ha mercificato tutto.

Allora si capisce che richiamare i natali fra Torella dei Lombardi e Torre Annunziata non appare sufficiente per dimostrare la capacità di rappresentare un popolo – quello azzurro e quello di Partenope –, al di là dell’essere tifoso del Napoli. La questione non è se si tifa o no, bensì se si è esponenziali o meno di una comunità territoriale.

Se lo si fosse veramente, non ci si proporrebbe la trasformazione dello stadio in un teatro di prosa; si cercherebbe una soluzione per isolare i delinquenti, senza trasformare un bene popolare in un bene di lusso, da godersi soltanto per l’élite; si gestirebbe il costo dei biglietti in maniera più sensibile ai ceti meno abbienti, che costituiscono l’anima profonda della città, e del tifo per la squadra. E poi, più in generale, si riterrebbe che Uefa e F.I.G.C. andrebbero sì riformate, eccome!, ma in senso democratico, non nella prospettiva di impedire che nella massima serie giungano, per meriti sportivi, squadre prive di appeal, con solo «2000 tifosi»; o di evitare che ai quarti di una competizione europea si scontrino squadre dello stesso Paese.

La battaglia per la legalità è tutt’uno con quella per combattere le disuguaglianze. Si possono lodevolmente tenere i bilanci in perfetto ordine. Il fatto, però, di tenerli così perché è funzionale all’obiettivo di far danari, se pur pienamente legittimo, non mette sol per questo nella condizione di essere rappresentativo di un popolo. Ma, tant’è!

Siamo circondati da una tal quantità d’immondizia che pare quasi doveroso considerare modello chi semplicemente si limita a rispettare le regole. Quanto si sta facendo nei media per nascondere l’indignazione dovuta verso la Juventus finisce per consentire di celebrare quale esempio virtuoso chi fa normalmente il suo dovere. Chest’è… Beati monoculi in terra caecorum!!!».

Non l’ho voluto pubblicare, nella speranza che la sfida ai rossoneri andasse bene. E invece s’è trasformata addirittura in una masochistica volontà di autodistruzione, un vero e proprio cupio dissolvi incomprensibile ai più. Se, infatti, è vero che la lotta intestina fra gli ultras (perché, a dispetto del fazioso racconto di certa stampa, di questo s’è trattato: sostanzialmente una deprecabile scazzottata fra due gruppi di ultras in curva B) rassomiglia molto al marito che si taglia il pene per far dispetto alla moglie. Lo è altrettanto che la rigida autoreferenzialità del Presidente – il quale persevera nel dimostrarsi privo della sensibilità necessaria per comprendere una città che sempre più esibisce di percepire a lui estranea, diffusamente ricambiato – sfocia indiscutibilmente in autolesionismo. Qualcuno, cogliendo nel segno, ha scritto «Il patron sta usando il pugno duro e gli ultras stanno rispondendo con la stessa moneta. Risultato? Ci perde il Napoli ”.

Perché, vede, caro Presidente, quando un mese fa è intervenuto al convegno presso la Vanvitelli – prendendo la scena con la consueta brillante performance (che ha distolto l’attenzione dal serio tema oggetto di studio) – rivolgendosi soprattutto a me, ha mostrato di non aver ben colto il significato di ciò che scrivo da tempo. Avrà notato – spero – che sono rimasto defilato, limitandomi a darle il benvenuto con gentilezza e discrezione. E ringraziandola per aver accolto l’invito del Direttore del Dipartimento. Ricevendo, peraltro, una risposta poco affettuosa, per usare un eufemismo (e in romanesco).

Agli studenti che mi hanno chiesto perché non sia intervenuto per replicare, ho spiegato che, quando si riceve un ospite (così ho appreso dai miei genitori), anche se con te è poco amabile, bisogna tenere un contegno di ossequioso rispetto. Che ho inteso tenere anche per l’intero mese successivo. Ora, però, è venuto il momento di esprimere la mia opinione.

Ebbene, caro Presidente, la situazione si è fatta molto grave. La sua ‘linea’ ha procurato una notevole, preoccupante, frattura. Commettono un sanguinoso errore gli osservatori che liquidano come delinquenti e camorristi («reietti», come li definisce lei) le decine di migliaia di tifosi delle due curve (25.000) e, verosimilmente della parte più cospicua della città. Certamente v’è una quota non marginale di borghesia (quella che, però, Benedetto Croce considerava di scarso valore morale, perché tutta intenta a badare al proprio interesse personale e poco al bene comune, purtroppo ancor oggi ben presente), che domenica sera, ai volgari ed ingiustificabili insulti nei suoi confronti, ha gridato «Fuori! Fuori!». Ma poi, come al solito, s’è rivelata incapace di sostenere la squadra senza la guida della voce popolare. La sua è flebile. Non diversamente dal contributo che dà all’interesse pubblico della città.

Diversi esponenti di quella classe sociale – giornalisti ed opinionisti vari – spendono parole dure nei confronti di chi, come me, sarebbe secondo loro «in malafede» giacché sosterrebbe le ragioni della delinquenza. Una mascalzonata. Osservare i fenomeni sociali, analizzarli e valutarli, è il fisiologico compito di chi fa per mestiere lo studioso. Quando scrivo che non rappresenta il popolo azzurro, semplicemente riferisco ciò che vedo e sento un po’ dovunque. Non fomento odio, io. Ma nemmeno dispenso frottole, come i cortigiani che le fanno le fusa intorno senza aiutarla a capire.

Sbaglia di grosso a voler implementare una strategia repressiva (modello Thatcher) in omaggio al benpensantismo dell’upper class, nascondendola dietro la scelleratezza di alcune centinaia di ultras. Ma non tutti sono tali, altrimenti la scazzottata non ci sarebbe stata. E soprattutto, veramente crede che quella voce potente alzatasi da ben più di ventimila persone sia obbligata da una di quelle due parti che s’è presa a botte?  Veramente crede che si possano liquidare come delinquenti tutti i tifosi – la maggioranza – della lower class?

Ho sempre riconosciuto che la sua gestione societaria fosse virtuosa. Ho sempre contestato la locuzione «Pappo’ caccia ’e sord!». Con chi l’adoperasse ho sempre, anche animatamente, discusso, talora persino litigando (non solo per estetica del linguaggio). Mi è testimone una nutrita schiera di personale non docente degli Atenei in cui ho prestato la mia opera. Con tutti i suoi contestatori mi sono adoperato per spiegare che, nel tristissimo panorama del mondo del calcio (culturalmente di bassissimo profilo), non avremmo potuto avere un’alternativa migliore. Mai ho plaudito, infine, ai ccdd. ‘asedicisti’, considerandoli fuori luogo, e persino nocivi (sebbene il nome dato a quel movimento derivasse da una non infondata esigenza di legalità: rifuggire dalla deprecabile tendenza alla multiproprietà).

Vede, caro Presidente, lo slogan urlato dagli ultras «Napoli siamo noi» è una clamorosa, autentica, sonora sciocchezza. Perché Napoli è cosa assai più complessa da potersi ridurre al solo esprimersi sguaiato di una parte. Che però ne è un pezzetto. Mentre lei ne è uno ancor più piccolo. Lei è il Presidente della società per azioni Calcio Napoli, e dunque il proprietario della squadra. Per questo può legittimamente (ma improvvidamente) dichiarare che «È un giocattolo della famiglia De Laurentiis, non vedo motivi per cederlo fin quando non ci stancheremo». Ma questa squadra, come forse nessun altra, è rappresentativa di un popolo. Un popolo che per storia è abituato a convivere con (e sopportare) i padroni. Mostrando – purtroppo – di conservare ancora una certa attitudine a non percepire il passaggio dalla sudditanza alla cittadinanza.

Tuttavia, mai li ha accettati (i padroni), pur se per lo più evitando il rischio di combatterli frontalmente. Scegliendo quasi sempre la strada meno pericolosa di beffarli con l’astuzia (ecco, forse questa – che in uno col fiuto fuori dal comune costituisce il tratto peculiare del suo esser abilissimo impresario calcistico – è una delle mille sfaccettature caratterizzanti la ‘napolitudine’ che ha in comune con la città). Ha cercato soprattutto di adattarsi per sopravvivere. Insomma, raramente si sono registrate rivolte come quella cui abbiamo assistito nei giorni scorsi in Francia, contro Macron, ed in Israele, contro Netanyahu. Che quelli come me considerano positivi esempi di civiltà democratica.

Per carità, nessuna similitudine sarebbe plausibile. Nondimeno, io m’interrogo: quale sarebbe l’interesse di questo popolo? Se è quello di vedere l’azzurro vincente, beh allora non è peregrino provare a mettersi nella condizione psico-emotiva di questa parte cospicua della città e domandarsi come potrebbe reagire altrimenti al ricatto della passione. Che strada ti resta quando ti accorgi di essere finito «comm’ ‘o sorece intu’ ’u mastrillo»?

Vede, caro Presidente, voglio rassicurarla, come lei ha fatto con me. Io sono empatico con tutti i diseredati del mondo, e – mi creda – non nutro per lei alcuna invidia, men che meno odio. Non mi appartiene. Si sforzi di ascoltare il mio suggerimento, che non ha alcun altro interesse che non sia il bene comune. La storia dimostra che l’intento di esportare la democrazia è fallimentare. Non si faccia paladino dell’ordine pubblico e del buon costume. Lasci questi compiti alle istituzioni preposte. Ci vuole paziente e silenziosa volontà costruttiva. E tempi lunghi. Non stia a sentire i fomentatori d’odio, espressione del più vuoto, bieco ed ipocrita perbenismo.

Se veramente vuole stare dalla parte delle persone perbene, si disponga all’ascolto delle ragioni dell’altro, si sforzi di entrare dentro l’anima di questo popolo. Perché – mi ascolti – chi soffia sull’odio, arrivando a proporle di portare la squadra fuori dalla città, sebbene suo malgrado, ha finalmente ammesso che questa non è quella che egli vorrebbe fosse. È un’altra cosa. Bella o brutta che sia (a seconda della visione del mondo che si professa), è un’altra cosa. E la squadra di cui lei è proprietario ne è forse una delle più vive espressioni. Mi affido e faccio appello al suo proverbiale sesto senso aziendale. Non commetta l’errore di provare a spezzare questo legame indissolubile. Finirebbe per nuocere ai suoi stessi interessi. Si sforzi di capire e di agire in coerente consequenzialità.

Un ultimo pensiero alla squadra. Mi è parsa molto stanca. Osimhen s’è infortunato in nazionale, ma non per un fatto traumatico (forse perché era affaticato?). Lobotka sembra evidentemente appesantito. Non parliamo di Anguissa. Saranno le lunghe trasferte per le nazionali. Sarà (secondo qualcuno) il Ramadan. Ma io continuo a chiedere al Mister perché ha rinnegato il suo convincente credo iniziale sulla titolarità ‘allargata’. Se infatti Elmas è più o meno quasi sempre utilizzato, Ndombele lo è assai meno. Demme praticamente mai. Perché? E poi, caro mister, senza voler urtare la sua suscettibilità, non si ha torto ad affermare che, fin qui, rispetto all’anno scorso, il Napoli è stato nettamente più forte anche perché non ha avuto avversari. Un anno fa alla 28ma (la classifica era Milan 60, Inter 58, Napoli 57, Juventus 53). Il Milan aveva 9 punti in più e l’Inter 8. Il Napoli 14 in meno [la Juventus 6 in meno sul campo, ma tanto – a meno che la giustizia sportiva non dovesse rendersi ridicola agli occhi del mondo intero – finirà in B]. Alla fine buttammo via lo scudetto. Vediamo di non fare lo stesso quest’anno con la Champions (dopo aver già rinunciato alla Coppa Italia). È difficilissimo, ma è indispensabile vincere a Lecce. Tutti uniti".