“Io cerco amore. Io ho bisogno di amore”: Maradona e la promessa di un bambino già fenomeno

“Ho due sogni: il primo è giocare ai Mondiali. Il secondo è vincerli”. Con gli occhi ancora immersi nella sua infanzia, Diego Armando Maradona riusciva ad avere una visione così chiara di quello che sarebbe diventato. Di tutto ciò che sarebbe andato a conquistarsi, lottando spesso da solo contro un destino già tracciato. Una storia nata ben prima dei grandi riflettori. Il fenomeno Maradona si palesava al mondo tra le mura strette dei condomini di Lanus, mentre vinceva ogni tipo di scommessa su chi lo sfidava a salire palleggiando fino ai piani più alti. Il pallone non cascava mai, la gente ne parlava ad altra gente e quel nome iniziava a diffondersi tra le strade come una leggenda urbana.
Partita del campionato argentino. ‘Dieguito’ aveva dieci anni, stava a bordo campo a raccogliere svogliatamente qualche pallone che arrivava dalle sue parti, poi arriva l’intervallo ed iniziava lo show. Le urla degli spettatori scandiscono ogni palleggio di quel ragazzino con la testa ricoperta di una foresta di ricci e sul volto una sfrontatezza che non lo avrebbe mai più abbandonato. In molti chiesero di prolungare l’intervallo, perché lo spettacolo vero era lui.
Il 5 dicembre 1970 a 10 anni inizia la sua avventura con l’Argentinos Juniors, il 20 ottobre del 1976 diventa il più giovane di sempre ad esordire nella massima serie argentina quando ancora non aveva compiuto sedici anni. Furono gli anni dell’assoluta spensieratezza di Diego, di un fuoco eterno di un talento che ancora fa bruciare l'anima al solo pensiero. Quel posto ruberà a Maradona una parte del suo genio, lasciandola per sempre incatenata al club della Partenal. C’è una gara, più di altre, che segna la definitiva consacrazione. Di fronte c’è il Boca Juniors, era il 1980, Diego cala un poker nel 5-3 roboante dell’Argentinos contro gli Xeneizes. Quel Boca che poi sarebbe diventato il suo futuro, prima di sbarcare in Europa nella parentesi biennale al Barcellona.
“Ogni attrazione è reciproca” scrive Goethe nelle Affinità Elettive. Quella tra il Napoli e Maradona sembra una di quelle storie d’amore quasi inevitabili, che nascondono un fatalismo invincibile. Servirono cinquanta giorni di trattative per vestirlo d’azzurro, come racconta Corrado Ferlaino, patron che messe a segno il colpo che fece impazzire la città di Napoli: "Quelli del Barcellona alzavano sempre il tiro e la cifra”. Poi l’annuncio, arrivato il 30 giugno 1984: ‘Maradona al Napoli’, la notizia che fece il giro del mondo e impazzire la città tre anni prima della festa per lo scudetto. Tredici miliardi e mezzo di lire al Barça, che era sospeso tra il desiderio di trattenere Diego, diventato però ingombrante come il suo clan, e incassare un’altissima cifra in caso di cessione.
Fu amore a prima vista. Alla prima frase: “Buonasera napolitani" disse quel ragazzo in tshirt celeste presentandosi in un San Paolo stracolmo il 5 luglio del 1984.
Quello scugnizzo senza tempo, ribelle che si è sempre trovato più a suo agio con i vestiti sporchi che tra gli smoking dei colletti bianchi, avrebbe regalato a Napoli gli anni più belli della sua storia.
Prima, però, c’era una promessa da mantenere. Non solo giocare i Mondiali, quello lo aveva già fatto nel 1982, ma vincerli. E Diego lo fa a modo suo, facendo gravitare tutta l’attenzione su di sè. Il riassunto di quello che Maradona è stato, con tutte le sue contraddizioni, è la gara con l’Inghilterra, quarti di finale a Messico ’86. La prima rete ribattezzata dal Pibe ‘La mano de Dios’, poi la sequenza forse più esaltante della storia del calcio. Diego riceve palla a sessanta metri circa dalla porta avversaria e con una giravolta si libera di due avversari. Morales, che raccontava la gara in tv per il popolo argentino capì subito che stava per accadere qualcosa che la storia avrebbe conservato per sempre: “Ahì la tiene Maradona, lo marcan dos… Arranca por la derecha el genio del fútbol mundial…”. Il racconto segue ossessivamente quella sagoma che sul prato verde si insinuava come un serpente tra gli avversari. Terry Butcher prova ad abbatterlo: tentativo fallito. Gli si oppone Fenwick: Diego nemmeno lo vede e prosegue la sua inarrestabile discesa. Resta Shilton da saltare, un gioco da ragazzi per chi aveva già visualizzato la fine di quell’azione. “Genio! Genio! Genio!” sentenzia Morales in cabina di commento. Era il 22 giugno del 1986. Quel giorno Maradona il Mondiale lo aveva già vinto, ben prima di giocarsi la semifinale col Belgio e la finale col la Germania.
Dopo aver fatto impazzire la sua terra, Diego torna a Napoli e vuole regalare anche al popolo che l’aveva adottato la gioia più grande. Vive il periodo più luminoso della sua carriera, uno status da intoccabile che gli fa credere che nessun traguardo sia precluso. Così, il 10 maggio 1987, consegna nelle mani della città di Napoli quella gioia attesa da 61 anni: il tricolore che fa impazzire i tifosi partenopei. “Che vi siete persi” si scrive di fronte ai cimiteri, omaggiando quel sacro ed il profano che da sempre è marchio di fabbrica di chi convive con un vulcano. La seconda gioia il 29 aprile del 90’, un secondo scudetto da aggiungere alla Coppa Uefa ed alla Coppa Italia.
Dopo quel trionfo in maglia azzurra, Maradona si trova a giocare Italia ’90. C’è un titolo di Campione del Mondo da difendere ed il destino non poteva scrivere sceneggiatura più suggestiva. La notte del 3 luglio si gioca al San Paolo, il tempio di Diego, la semifinale tra Italia ed Argentina. “Chiedono ai napoletani di essere italiani per una sera, dopo che per 364 giorni all’anno li chiamano terroni” dichiarò El Pibe de Oro per incendiare gli animi. Una serata surreale, con i tifosi col cuore diviso. Qualcuno tifò Maradona, una gran parte tifò Italia. Alla fine la spuntò l’albiceleste, che si arrese però alla Germania in finale.
In qualche modo lo spirito vitale del Maradona calciatore, la sua essenza primordiale, iniziò in quella notte romana della finale persa. Come se un pezzo di quella statua in movimento si fosse staccato per sempre. Gli eventi successivi saranno conseguenza di una volontà ormai lontana dal calcio: la fuga da Napoli dopo essere stato trovato positivo alla cocaina, la parentesi al Siviglia e la breve apparizione al Newell’s Old Boys. Infine, l’immagine che più di altre resta valida come titoli di coda su questo incredibile film: l’esultanza rabbiosa alla Grecia al Mondiale americano e la successiva squalifica per doping risultando positivo all’Efedrina. Chiuderà al Boca Juniors, perche aveva avvertito l’esigenza di tronare a casa. Un canto del cigno prolungato più del dovuto.
Dopo qualche parentesi fugace, a furor di popolo il 28 ottobre del 2008 viene nominato CT dell’Argentina. Come poteva essere altrimenti per l’uomo più amato del paese, che però faticherà a trasferire in panchina l’imprinting vincente sempre mostrato da calciatore. L’obiettivo è il Mondiale in Sudafrica, nel mezzo del cammino una batosta nelle qualificazioni che fa scricchiolare già la panchina: il 6-1 subito contro la Bolivia. Diego regge, arriva al Mondiale del 2010e vince le prime quattro gare ma a fermare la sua corsa ancora una volta la Germania. Una sensazione di maledetto déjà vu per El Pibe, dopo l’amarissima finale persa ad Italia ’90. È il 3 luglio 2010, dopo vent’anni ancora una volta lo spauracchio teutonico ad infrangere il sogno mondiale: Müller, Friederich e due volte Klose mettono la parola fine all’esperienza dell’Argentina, strapazzata con un 4-0 che si tradurrà inevitabilmente in esonero
L'Al-Wasl a Dubai, l’Al-Fujairah negli Emirati Arabi, poi i Dorados in Messico. Parentesi più o meno lunghe che poco aggiungono alla storia di Maradona, confinato ormai ai margini di un calcio in cui era abituato a recitare il ruolo di assoluto (sempre discusso) protagonista. Dopo la fine della parentesi senza gloria in Messico, Diego decide che è il momento di tornare a casa ed accetta la panchina Gimnasia La Plata generando la gioia incontenibile dei tifosi. Di mezzo delle dimissioni, poi revocate, ed alcuni problemi di salute che hanno complicato ulteriormente il suo lavoro.
Forse, però, a Maradona va bene così. L’affetto della sua gente è il cordone ombelicale che lo tiene ancora legato ad un passato troppo folgorante per non essere trasformato in nostalgia. D’altronde, le prime parole al suo arrivo al Napoli raccontavano una fragilità del cristallo che si trasformava spesso in raffinatezza.
“Qui la gente ti renderà la vita invivibile, la loro passione ti stritolerà” gli raccontava uno dei primi giornalisti che lo aveva accolto.
Diego, si fece improvvisamente serio, prese un lungo respiro e poi sentenzio: “Io cerco amore. Io ho bisogno di amore”. Oggi come allora.
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