Da 0 a 10: Lozano manda in tilt i social, l’equivoco Insigne-Spalletti, il disperato Osimhen e la certezza su Mertens

Il Napoli cade al Maradona: male Fabiàn e Zielinski, ancora una volta il Maradona non porta punti alla squadra di Spalletti.
11.04.2022 08:38 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: Lozano manda in tilt i social, l’equivoco Insigne-Spalletti, il disperato Osimhen e la certezza su Mertens
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Zero stupore ed è l’aspetto più inquietante. In fondo al cuore tutti avevamo questo timore, che infondato non era, perché le cose non accadono mai per caso. È che il Napoli ci è cascato di nuovo, puntuale, logorante, snervante nel suo disattendere certe aspettative. L’ispettore Poirot diceva: “Ogni sospettato nasconde un segreto” e nel Napoli c’è un segreto che è di Pulcinella: l’insormontabile paura di cambiare il proprio status. Impantanati nelle sabbie mobili delle proprie paure, a muoversi senza mai andare da nessuna parte. Che amarezza.

Uno il fotogramma, indigesto come un mattone come dessert dopo il pranzo della domenica. Campo aperto, una distesa infinita di possibilità, lo spazio per un passaggio comodo per mettere Mertens davanti al portiere e Lozano si perde l’attimo, lascia scappare il treno che poi mica ripassa. “Ogni respiro è una scelta. Ogni minuto è una scelta. Essere o non essere”. Lo sport si racchiude in queste poche righe. Hirving ha ficcato un paletto di frassino nel cuore delle speranze tricolore e fatto impazzire i tifosi sui social. Bambola assassina.

Due gol di Mertens e Osimhen. Che si sostentano, si moltiplicano nella forza e nell’indice di pericolosità. E una squadra altro non è che la capacità di sommare il talento individuale e renderlo un’addizione vincente. Victor è una bottiglietta che affida alle onde del mare il suo destino: troppo solo per non perdere lucidità, Tra poco inizierà a parlare con una palla e la chiamerà Wilson per la disperazione e la solitudine. A questo punto, perché invece non regalargli un Ciro come compagno di viaggio? 

Tre reti dalla viola dopo le cinque in Coppa Italia. Italiano la vince giocando, palleggia temendo il palleggio del Napoli. Annichilisce l’avversario sfruttando l’arma che predilige: come battere la donna invisibile invitandola a giocare a nascondino. Il tecnico viola accetta di lasciare la profondità a Osimhen e Spalletti crede che possa bastare. Ad avere ragione è il mister della Fiorentina. 

Quattro all’esitazione in stile Michu di Fabiàn. Col pallone sul mancino lo spagnolo non può esitare, non può andare contro la sua natura. Cervellotica la scelta di non calciare, un tarlo che finisce per consumare nel profondo lo spagnolo che scompare dalla gara come un tramonto a Formentera. Sparisce il numero 8, ma non è un’assenza fisica. È una fuga dalle responsabilità, dal pensiero di dover dare qualcosa in più. “L’eclisse di sole è un fenomeno temporaneo. L’eclissi della mente, un fenomeno che non finisce mai”.

Cinque ko al Maradona come una cinquina in faccia in stile Will Smith. E non c’è una costante: il Napoli ha perso con le squadre che hanno fatto barricato, con le squadre che hanno fatto ripartenze, con le squadre che hanno fatto tiki taka. Ciò che è sempre uguale è il Napoli, incastrato nella sua incapacità di indossare nuovi abiti quando il copione non è quello che t’aspettavi. Adattarsi al cambiamento, reagire al cambiamento è la più grande conquista per chi vuol provare a ritagliarsi un posto nella storia. Doveva essere il mantello per diventare supereroi, ma qui siamo più simili a Mr. Bean.

Sei anni di Napoli con la premessa, che poi era una promessa: chissà cosa diventerà quanto sboccerà. È che poi siamo ancora qui, anzi abbiamo pure fatto qualche passo indietro. Zielinski non ha più la scusante dell’età, come se poi avere vent’anni fosse una colpa. "A vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’ età” cantava Guccini. Ma le primavere sono ormai tante per Piotr, al punto da arrendersi all’amara conclusione che sarà sempre questo. Imprevedibile, inaffidabile, maledettamente volubile: una macchina che può portarti dall’altra parte del mondo o lasciarti a piedi a cento metri da casa. 

Sette anni di devozione, dedizione, incrollabile fede. Era tra i più dispiaciuti al Maradona il numero 7, in viola per errore, l’uomo dello spazio che non ha limiti, del tempismo perfetto, della professionalità che si fa più che commovente. Callejon lo abbiamo amato, senza dirglielo mai davvero ad alta voce. Perchè lo sentivamo parte di noi. E sarà così per sempre. Ci sarebbe voluto una parentesi, come quelle che creava questo spagnolo che attaccava lo spazio come nessuno. Tutta per lui, solo per lui. Manchi Josè. 

Otto al secondo tempo di Osimhen, che nel primo tempo sciupa però un’occasione che probabilmente gli toglierà il sonno. Con Dries a sostegno, Victor ha ossigeno per prendere le decisioni giuste. Suo l’assist per Ciro, suo il meraviglioso gol che illude nel finale: sono 7 le reti nelle ultime 8 giocate per un ragazzo che deve ancora esplorare l’universo del proprio potenziale, smussare tanti angoli del proprio gioco, coltivare con cura la propria personalità. Però, ragazzi, questo qui quando gioca spesso fa gol e non è roba da tutti. 

Nove mesi di campionato e un solo gol su azione. Quanta spietata incompiutezza nella stagione di Insigne, rimasto perennemente in sospeso dentro un tempo senza futuro, col domani mozzato da un divorzio annunciato con anticipo. La gara con la Fiorentina certifica questa emozione tronca, un pensiero mai arrivato davvero a compimento. Lo spunto iniziale che evapora, poi, al momento di farsi sostanza. Incastrato tra passato e futuro, il capitano, il Napoli, Spalletti si sono un pochino persi di vista, senza mai aver il coraggio di distaccarsi col giusto tempismo. Il tempismo è tutto.

Dieci gol in stagione giocando a singhiozzi. Spalletti lo lancia in campo come un Pokemon edizione limitata e la contesa cambia, si ribalta l’inerzia, pure gli sguardi dei compagni sono più vivi. La capacità di trovare l’equilibrio per infilare il pallone all’angolino per l’1-1 è misteriosa, sinuosa e attraente. C’è il pensiero che si fonde col gesto tecnico, la visione geniale che illumina la strada del prescelto. Tenere Mertens in panchina, ancora oggi, è un lusso che il Napoli non può concedersi. Uno spreco di talento, di praticità, di astuzia che non rende onore alla grandezza del belga. Non puoi tenere una Ferrari in garage se spesso mandi in campo delle onestissime utilitarie. Troppo più bravo dei compagni per star li a guardare. Infinitamente Ciro. Aurelio per favore, non facciamo sciocchezze.