Da Zero a Dieci: la pistola in faccia a Milik, la profezia di ADL, la lezione imbarazzante di Ancelotti a Klopp e la denuncia ad Allan del Liverpool

04.10.2018 11:04 di Arturo Minervini Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: la pistola in faccia a Milik, la profezia di ADL, la lezione imbarazzante di Ancelotti a Klopp e la denuncia ad Allan del Liverpool

(di Arturo Minervini) - Zero le occasioni concesse al Liverpool, all’attacco considerato da molti in questo momento il più letale d’Europa. Come mettersi in giardino un Black Mamba e renderlo inoffensivo, lanciargli il bastone e farselo riportare come fosse un mansueto cagnolino. Un dominio che va ben oltre il risultato, una superiorità a tratti imbarazzante, quasi come certi commenti di analisti ed esperti che erano già pronti a recitare il De Profundis dopo la sconfitta di Torino, prevedendo una passeggiata dei Reds al San Paolo. L’urlo di questo Napoli ridesta qualche cuore sopito, fa tremare qualche penna dolosamente velenosa che può far più male anche di un serpente.

Uno il gol segnato che può risultare ingannevole nell’analisi più di un push-up. Quando la traversa ha respinto l’invocazione di Ciro Mertens (così come con la Stella Rossa il destro di Insigne), cattivi pensieri si addensavano nelle teste ripensando alla maledetta notte di Belgrado. Andare oltre la cattiva sorte, vincerla quando non sembrava più possibile, riacciuffare il proprio destino mentre ti sembrava di precipitare in un burrone è impresa del cuore, della testa, della cocciutaggine. Ancora una volta vale la regola che è sempre l’ultima chiave del mazzo ad aprire la porta. Quindi, il segreto resta lo stesso: non dire è finita fino a che non è finita.

Due guanti, come nuovi, usati giusto 90’ per stringere le mani a qualche avversario. Ospina è stato fondamentale nelle uscite, bravo nella gestione dei palloni, coraggioso oltre la media nelle scivolate ad anticipare Salah. Per il resto avrebbe anche potuto fare il mini-abbonamento ed assistere alla partita dalla Curva. Di fatto non ha mai dovuto utilizzare i suoi attrezzi del mestiere ed è dunque disponibile a venderli sul web ad un prezzo ragionevole. Ecco l’annuncio del colombiano: “Vendersi guanti di Napoli-Liverpool. Sembrerà incredibile ma non hanno nemmeno un briciolo di polvere, vorrei raccontare ai miei nipoti di aver battuto i vice-campioni d’Europa ma sono troppo nuovi e non mi crederebbero. Che amarezza”. Solidarietà David.

Tre cinque due. Anzi no, quattro-quattro-due o forse quattro-tre-tre. Numeri che servono a poco perché nel piano superiore ancelottiano diventano flessibili, molli come gli orologi di Dalì ne ‘La persistenza delle memoria’. Proprio come quegli orologi che si fondono con altri elementi della terra, il Napoli riesce ad alterare spazio e tempo, occupando meglio lo spazio ed anticipando sempre nel tempo gli avversari che si trovano immersi in un realtà distopica, che al confronto una puntata di Black Mirror è una passeggiata. Schemi che si flettono al volere superiore di un maestro di calcio, uno che ha esercitato la mente tante volte alla vittoria e che dopo questa notte potrebbe affermare: “Ci sono giorni in cui credo di morire per un'overdose di soddisfazione”. 

Quattro punti e primo posto nel girone di ferro ed un primo posto da gonfiare il petto. “Il girone è difficile ma, se si deve vincere, è meglio farlo alla grande contro le grandi” aveva profetizzato De Laurentiis al momento dei sorteggi, analisi che potrebbe diventare di buon auspicio. A prescindere da come andrà, bisogna convincersi del fatto che questo club ha raggiunto un livello tale che in una gara singola, soprattutto a casa sua, può mettere alle corde chiunque. Non è presunzione, è ormai giurisprudenza consolidata.  

Cinque volte Koulibaly. È una presenza che si moltiplica, un generatore di eclissi in movimento: quando arriva lui tutto diventa buio, insignificante rispetto alla forza centrifuga generata da questa scultura di ebano scolpita in ogni dettaglio. In tre passi copre spazi indefiniti, imposta con lucidità, si concede anche il lusso di fare il doppio passo alla Garrincha sulla fascia destra: è davvero l’universo l’unico limite di Koulibaly. Sembra un’esplorazione in un mondo futuro, l’evoluzione della specie umana proiettata nei prossimi trent’anni. Un viaggiatore a ritroso nel tempo, ritrovatosi in azzurro a sbarrare la strada ad ogni possibile invasore. Resta con noi. 

Sei reti in stagione per Insigne. È la notte di San Lorenzo al San Paolo, è la notte di una stella cadente, è la notte in cui un desiderio è diventato realtà. Si lancia in spaccata lasciando la scia come fosse astro che brucia per l’ultima volta, il gran finale che splende nella volta celeste ad illuminare i cuori ed accendere speranze e sorrisi che sembrava con le ali tagliate. Quel pallone che arriva dalla destra ha lasciato tutti in un’apnea collettiva, col fiato mozzato e gli occhi sbarrati. Un attimo eterno, l’impatto del piede con il pallone, la rete che si gonfia come il cuore. Lorenzo plana sotto la curva, si indica il nome. Leggetelo bene. Guardatelo bene quel colore. Il Napoli c'è. Ed Insigne vuole essere il suo trascinatore.

Sette è da sempre il suo numero. E, da sempre, è stato messo in disparte nel periodo delle chiacchiere, degli quaquaraquà. Poi, però, arriva il momento dove si fa sul serio, dove si gioca, dove gli uomini mostrano il loro valore. Ecco, in quel momento Callejon diventa magicamente insostituibile, ago di una bilancia che perderebbe equilibrio senza lo spagnolo. Oltre la gara, oltre le chiusure, oltre una lapalissiana superiorità intellettiva applicata al calcio, bisognerebbe scrivere un trattato sul suo assist ad Insigne al minuto 89’. Alberto Angela dovrebbe fare uno speciale su questa ‘Meraviglia’, sulla dedizione che porta un uomo a sprintare ancora dopo aver già dato ben oltre l’umana possibilità. Trattato di resilienza ed ostinazione, pennellata di spiazzante cinismo che gela il sangue nelle vene. Sembra umano, ma non è.

Otto rovesciato, come l’infinito, una visione del mondo a 360° per finire quasi a testa in giù. Un antico proverbio cinese recita: Non esistono parole capaci di rendere merito alla prestazione di Allan, moto perpetuo che consuma l’anima degli avversari come il ritratto di Dorian Gray. Più lo guardi, più ti rendi conto di quanto sia impossibile liberarsene. Una condanna che finisce per annichilire le velleità degli inglesi, conquistati nella testa e nello spirito da questo Masaniello nato per sbaglio a Rio De Janeiro. Nella sua rivoluzione c’è una costanza che lascia stupefatti, una consapevolezza dei propri mezzi rinnovata. Nel tornare a casa, alcuni magazzinieri del Liverpool hanno trovato segni della sua dentatura sulle caviglie, perché nessuno è stato risparmiato da questo Ringhio 2.0 alla corte di Ancelotti che rischia la denuncia per molestie come Cristiano Ronaldo Troviamo un pochino di spazio nel calendario, fissiamo un giorno da dedicare al culto di questo ragazzo che ha oramai le sembianze tipiche del top-player.

Nove alla tela di Carlo che è come quella di un ragno che non sopporta imperfezioni: se la tela viene danneggiata, non la ripara. La distrugge e ne tesse una nuova. Così Ancelotti tesse la tela perfetta, altro che Penelope, che finisce per privare di ossigeno Klopp, portato a scuola col pulmino come fosse uno scolaretto col grembiule. Lezione di tattica con pochi precedenti, rappresentazione ulteriore di una elasticità che può diventare il punto di forza di un Napoli che scopre nuovi volti e nuove forme. Un antico proverbio cinese recita: “Quello che il bruco chiama fine del mondo,il resto del mondo chiama farfalla”. È proprio così. Nella relatività del tutto, la fine del mondo che in tanti avevano profetizzato con la fine dell’era di Sarri, potrebbe invece aprire ad un nuovo battito, ad una farfalla che battendo le ali urla al mondo la sua libertà di assumere tante forme. Proprio come questo Napoli. In queste notti di Champions, non si può che inchinare a Re Carlo. 

Dieci ad Arek Milik. Perché quella pistola è puntata anche sulle nostre facce, perché accade dappertutto ma non dovrebbe accadere. Perché abbiamo il dovere di urlarlo forte, di denunciare lo sdegno e lo schifo che ci pervade ogni volta la cronaca supera lo sport. Aveva giocato una gara di sacrificio il polacco, che durante le interviste post-gara aveva una luce negli occhi chiamata serenità. Una serenità squarciata da un atto di criminalità che fa male, alla testa ed al cuore. Che dovrebbe scuotere le coscienze di chi crede che quella sia la strada più semplice da percorrere. Oggi più che mai siamo tutti con te Arek. Oltre la demagogia di chi pensa ‘tanto guadagnano milioni’, perché a 24 anni una pistola puntata in faccia gela il sangue a prescindere dal conto in banca.