Bianchi: "Conte? Non giudico, sono cose personali. Ma un allenatore è solo..."
Ottavio Bianchi, ex allenatore del Napoli, protagonista del primo scudetto nel 1987, ha parlato a Radio Marte: “Vincere due scudetti di fila o fare filotto è successo a poche squadre nella storia. Il Napoli ha avuto difficoltà anche dopo gli altri, come lo hanno avuto Lazio, Cagliari e tante altre, anche all'estero. E’ difficile specie in club e ambienti non così abituati a vincere. Il segreto è, già il giorno dopo lo scudetto, provare a migliorarsi ancora. Non perché uno ha vinto deve fermarsi, fare gli stessi allenamenti e le stesse cose dell’anno del tricolore. In questo si parte già perdenti.
Ogni volta bisogna migliorare, aumentare la velocità, l’abilità tattica, la motivazione. E questo non è certo facile, serve la mentalità di dimenticarsi completamente di quello che hai fatto il giorno prima, azzerare tutto, come capita nelle corse ciclistiche a tappe. Nei grandi club, Real Madrid, Bayern o Barcellona, pur cambiando molto si resta vincenti. Ripeto, tutti devono essere consapevoli che se si fa la stessa cosa dell’anno precedente si perde. Nel 1988 noi facemmo benissimo, giocando bene, poi nel finale ci fu il crollo fisico. Ho iniziato già a 13 anni a giocare e già mi pagavano per farlo. C’era la regola del mio vecchio allenatore che mi diceva, in dialetto lombardo ‘ragazzo, devi mangiare, ascoltare e tacere’. Ora tutto è cambiato, ogni squadra è composta da 25 mini-aziende, anche i giocatori di medio livello lo sono. Invece servirebbe sempre ragionare da squadra. Ai miei tempi del Napoli trattavo il signor Maradona, che era il più grande di tutti in assoluto, come uno degli altri, perché il calcio è sport di squadra, dove le qualità del singolo sono a disposizione del collettivo e viceversa.
Non giudico le parole di Conte, non lo conosco personalmente e il suo grande curriculum parla per lui. Bisognerebbe essere dentro per capire, se lui ha parlato in quel modo avrà le sue ragioni e se ha deciso di dire certe cose pensa che sia stato necessario per dare una scossa. Di certo un allenatore resta sempre un uomo solo al comando anche nelle negatività. I tanti infortuni? Oggi si gioca tanto, troppo. Quando io ero allenatore i calciatori avevano micro-traumi che avevano bisogno di 2-3 giorni per essere assorbiti. Se si gioca ogni tre giorni non c’è tempo per il recupero e quindi tanti piccoli, grandi infortuni producono incidenti più seri, specie a livello muscolare. E’ vero che le rose ora sono più ampie ma è altrettanto vero che si gioca troppo di più e a ritmi più intensi”.
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