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Clemente di San Luca: "La schizofrenia di un autentico tifoso azzurro"

Clemente di San Luca: "La schizofrenia di un autentico tifoso azzurro"
Oggi alle 11:30Le Interviste
di Pierpaolo Matrone

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, si è soffermato sul match di stasera tra Napoli e Juventus ai nostri microfoni: "Per i tifosi azzurri stasera si gioca la madre di tutte le partite. Chi racconta cose diverse non sa riconoscere il sentimento profondo della città, anche di quella non tifosa. Per capire come ci arriviamo, con quale, anche inconsapevole, schizofrenia ci arriviamo, è utile fare una veloce sintesi degli ultimi tre anni. Dopo più di trent’anni dal secondo, nel campionato 2022-23, è arrivato finalmente il terzo scudetto, con un distacco di punti clamoroso, a cinque giornate dal termine della competizione, esibendo un gioco spettacolare ed efficace in Italia e in Europa (dove solo due arbitraggi intrisi di decisioni illegittime, nei quarti contro il Milan, ci preclusero la semifinale di Champions con l’Inter, che poi – dopo aver battuto il Milan – perderà la finale col Manchester City; eravamo migliori di Milan e Inter, e forse ce la saremmo giocata ad armi pari con la squadra di Guardiola).

Poi abbiamo vissuto un incubo. L’annus horribilis del decimo posto. La vittoria del terzo – come non di rado succede – diede alla testa. Il Presidente si lasciò letteralmente avvolgere dall’hybris autodistruttiva, che ci ha fatto vivere la peggiore stagione della sua era (tre allenatori, in una spirale perversa ed un disorientamento assoluto). Dopo una sofferenza profonda, del tutto inaspettata, ADL decide di cambiare radicalmente. Sceglie Conte e impone a sé medesimo il self restraint. Il più efficace ‘motivatore’ nel panorama degli allenatori mette in piedi una squadra tetragona e, senza concedere alcuno spazio allo spettacolo, conquista un risultato al di là di ogni più rosea aspettativa. Con un finale al cardiopalma che compensa la rinuncia ad ogni anche minima forma di bellezza. La rinascita arriva sotto la benevola protezione del Santo Patrono, ma senza godere di privilegi arbitrali, conquistando il titolo con le unghie e con i denti e beneficiando di un significativo kairos favorevole (una faticosissima strada in salita, costellata di cadute, rialzamenti e ricadute, fino alla conclusione piena d’ansie, trepidazioni e gioia finale).

Da agosto scorso le imprevedibili sofferenze del secondo post-scudetto. Vinto il quarto, le aspettative aumentano. La società è sempre più solida. La solidità consente una campagna acquisti sontuosa, non in linea con la condotta aziendale tenuta sin qui. I notevoli investimenti impongono il conseguimento di alcuni obiettivi non fallibili (il passaggio agli ottavi di Champions League e almeno il quarto posto in campionato per partecipare alla successiva). Le cose però non sembrano andare perfettamente. Questioni tattiche, da un lato, problemi muscolari ed infortuni a catena, dall’altro. Dopo una fase psicologicamente turbolenta, il cammino sembra essere ripreso, nonostante tutto.

Tutto ciò riepilogato, quale sarebbe la schizofrenia? Beh, è chiaro: che stasera sulle panchine vedremo seduti due allenatori che in qualche modo rappresentano il modo di essere, la visione del mondo, della squadra opposta. Da un lato Conte, per anni emblema indiscusso della Juventus, oggi alla guida del Napoli; dall’altro Spalletti, cittadinanza onoraria napoletana, che ora, dopo aver vinto il terzo in azzurro, è al timone dei bianconeri. Insomma, da un lato un simbolo della ‘juventinità’ («la vittoria è l’unica cosa che conta»), dall’altro chi ha professato ed espresso una maniera di giocare assai vicino ad esprimere la ‘napolitudine’ (vincere conta – e chi lo nega? –, ma pure il percorso per arrivarci è importante, così come conseguire l’obiettivo senza rinunciare alla bellezza).

Non mi pare accettabile giustificare l’incoerenza con la professionalità. Perché qualsiasi professione si può esercitare benissimo anche senza tradire i valori in cui si crede. Spalletti – non diversamente da Sarri – ha tradito sé stesso. A Napoli si dice che è meglio se uno «nun se fa ’e riebbet’ c’a vocca». Meglio non fare debiti con la bocca, cioè, non promettere ciò che non si può mantenere. Se solo avesse atteso una settimana, sarebbe potuto finire sulla panchina viola, senza andare su quella che rappresenta la negazione di quanto ha testimoniato di credere nella sua esperienza lavorativa.

Del resto, accanto a questa tematica v’è quella del tifo. Orgogliosamente rivendichiamo che il nostro è diverso perché identitario. E l’identità antropologica partenopea – che ci rende diversi dai non colorati, ai loro antipodi – calcisticamente si traduce nel voler ottenere la vittoria attraverso la ricerca del bello. È vero, abbiamo sempre dichiarato che il nostro più grande piacere è batterli all’ultimo minuto, con un autogol, viziato da un fallo. Una vera e propria ‘fantasia erotica’. Ma questo non perché vogliamo rinunciare alla nostra identità. Anzi, al contrario, perché, proprio per affermarla, desideriamo, con un certo (non ingiustificato) sadismo, che la vita faccia provare loro quanto siamo stati costretti a sopportare noi, da sempre.

Tutto può essere, ma non credo che adesso siamo diventati come loro, che vogliamo vincere e basta. Noi tuttora vantiamo un’autentica differenza assiologica. Mi rifiuto di credere che abbiamo abdicato ai nostri valori. Non eravamo solo, banalmente e meschinamente, invidiosi. Ecco perché, da tempo, vado auspicando Damasco. Non perché pretenda l’abiura. Sarebbe troppo. Rispetto il rispetto di Conte per il suo passato. Ma non riesco ad accettare che il suo presente si risolva nel trapiantare l’anima non colorata nella terra de’ mill’ culur’. C’è, secondo me, un po’ troppa superficialità nel considerare prive di significato la cultura e la fede che il nostro allenatore continua (coerentemente) a professare. Stasera, dunque, tifando come sempre pazzamente azzurro, mi ritroverò a sostenere chi incarna il modello opposto al mio. La vita è proprio strana. E a volte veramente inspiegabile".