Clemente di San Luca a TN: "Mi basta vincere, non importa come: c'è miopia incommentabile"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento di casa Napoli.
"Un fumatore accanito scopre di avere un polmone gravemente ammalato. Non ha alternative. O si lascia morire. O si opera e si sottopone alle pesanti terapie prescrittegli dai medici. È questa una terribile, ma efficacissima, metafora, per spiegare bene cosa è accaduto al Presidente del Napoli. Dopo un anno vissuto dissennatamente, ha capito che la sola, radicale, terapia in grado di salvare la sua azienda era affidarsi ad un condottiero capace, e farsi da parte. Sia ben chiaro, il merito di tale scelta virtuosa è esclusivamente suo. E la virtù salvifica della scelta sta essenzialmente nel decidere di farsi da parte. Non nel condottiero prescelto.
Né più né meno di come quando si sceglie il medico specialista. Mica ce n’è uno solo in grado di individuare e seguire la terapia giusta (i protocolli sono codificati). Se dunque il nostro amato Napoli s’è ripreso, il merito sta quasi tutto nella terapia (farsi da parte ed investire in modo consistente). Solo in parte nel terapeuta. Dico questo perché occorre sfatare l’ormai diffusissimo luogo comune secondo cui Conte avrebbe il merito di aver messo ADL al suo posto. Una sciocchezza. Se il Presidente volesse, lascerebbe subito riemergere la sua hybris autodistruttrice. Non lo fa perché, chiunque fosse stato il prescelto, sarebbe puro masochismo riprendere la cattiva strada.
Ciò chiarito, vorrei invitare i tifosi azzurri a seguire un sillogismo [com’è noto, dicesi «sillogismo» un’argomentazione logica «costituita da tre proposizioni dichiarative connesse in modo tale che dalle prime due, assunte come premesse, si possa dedurre una conclusione» (Treccani)]. Ebbene, per spiegare meglio quello che vado dicendo da un po’ – evidentemente senza riuscire a farmi capire –, propongo alla riflessione di tutti (anche in autocoscienza individuale) il sillogismo che segue. Prima di proporlo, però, dichiaro i presupposti di fatto da cui nasce, negando i quali, naturalmente, il sillogismo non è sostenibile. Chi, quindi, considera infondati i seguenti presupposti non sprechi energie a contestarlo. 1) La storia del campionato italiano di calcio dimostra che, non di rado, la squadra che ha vinto è stata favorita da decisioni arbitrali illegittime. 2) Ove sia garantito il corretto svolgimento della competizione, a vincere è quasi sempre (per il vero, non è insolito che pure la fortuna reciti un ruolo non marginale) la squadra più forte, quella cioè che gioca meglio.
Posti quelli appena richiamati quali assunti condivisi (almeno convenzionalmente), il sillogismo è questo. A) Non poche volte, pur giocando meglio, il Napoli ha perso per indiscutibili decisioni illegittime. B) Quando è accaduto ci siamo lamentati per le illegittimità perpetrate ai nostri danni. C) Dunque, qualora, giocando peggio, vincessimo perché favoriti da decisioni arbitrali illegittime, dovremmo non gioire per la vittoria. A meno di non ritenere applicabile a noi la morale della celebre favola di Esopo, «La volpe e l’uva».
Non è difficile. La volpe affamata fa di tutto per saltare più in alto che può, pur di prendere il grappolo d’uva desiderato. Ma non ci riesce. Alla fine, pur di non ammettere di non essere riuscita, dice a sé stessa che quel grappolo è acerbo e mangiarlo le avrebbe fatto male. Ecco, se la volpe affamata fosse il tifoso napoletano, e l’uva fosse la vittoria ottenuta attraverso decisioni illegittime, dovremmo ritenere che, quando abbiamo urlato la nostra indignazione dichiarando di batterci per la legalità, l’abbiamo fatto in realtà solo per non aver vinto. Solo perché l’uva della vittoria ingiusta era per noi irraggiungibile. Ma allora, quando ci siamo lamentati delle illegittimità, era perché volevamo il «calcio pulito», o perché quello ‘unfair’ avvantaggiava gli altri e non noi? Ove fossimo stati noi ad esser favoriti da decisioni illegittime, saremmo stati soddisfatti? Quando ci ‘sbattiamo’, lo facciamo perché virtuosamente vogliamo una competizione regolare, o perché vogliamo vincere ad ogni costo, anche in maniera illegittima?
Mi basta vincere, non importa come: la miopia di questo credo è così eclatante che non merita commenti. Il mister ci fa vincere? Va bene, perché «La vittoria è l’unica cosa che conta»! E la competizione regolare? Se vinco, chi se ne frega se sono stato favorito da decisioni illegittime. Ecco perché, per quelli come me, questo è tempo di schizofrenia. Perché, quando in campo ci sono le maglie azzurre, io tifo e basta. Palpito, gioisco e soffro, sempre e comunque. Tuttavia, se chi guida la mia squadra è un’icona di quella cultura, mi sento in contraddizione con me stesso. Da un lato, perciò, mi aspetto che Conte dichiari apertamente di volere un «calcio pulito»: mi auguro, cioè, che – sebbene ciò gli costi di prendere le distanze dal suo passato – espliciti a chiare lettere che disprezza chi vince in modo sleale (se non lo fa, lascia irrisolto il dubbio sul se sia, o no, disposto a vincere a qualunque costo). E, dall’altro, che faccia giocare bene la squadra. Il tifoso azzurro, per stare in pace con sé stesso, deve chiarire cosa vuole. Vincere in modo corretto, o vincere e basta.
E se – com’è certamente per me – vale la prima, per farlo (qualunque modulo si adotti) non è sufficiente una squadra solida, grintosa e cinica. Non ci si può limitare a essere «camaleontici» e giocare sull’avversario. Bisogna anche proporre riconoscibili trame di gioco. Tutti vogliono il risultato. Per ottenerlo, però, occorre giocare meglio degli avversari. A maggior ragione se si dispone di una rosa fortissima. Sempre che non ci si aspetti che la competizione venga falsata a nostro favore".
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