Da Zero a Dieci: la confessione scandalo In Tv, la furia di Sarri su Hysaj, le serpi col veleno in gola e l'insulto di Dries alla scienza

26.10.2017 10:34 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: la confessione scandalo In Tv, la furia di Sarri su Hysaj, le serpi col veleno in gola e l'insulto di Dries alla scienza
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(di Arturo Minervini) - Zero all’agghiacciante (ed imbarazzante) frase pronunciata dal cronista di Premium Sport a Torino: "Stasera i giocatori della Spal sono qui per divertirsi, penseranno alla lotta salvezza dalla prossima gara". Lo ha detto davvero, raccontando la verità di un campionato che è diventato mediocre proprio per questo ‘servilismo’ delle squadre piccole nei confronti dei bianconeri. Scansopoli è una realtà che si è consolidata nel tempo, radicata come un seme del male nel terreno del nostro campionato. E come ogni male si estirpa solo portandolo alla luce.

Uno come da copione il gol di un napoletano contro il Napoli. Una certezza, come illudersi di aver trovato parcheggio per poi scoprire ‘managg tutt cos c’è una Smart’. Una costante, come la fetta biscottata che cade dal lato della marmellata. Una maledizione, come quando entri in doccia ed i Testimoni di Geova ti suonano al citofono. Anche Izzo timbra il cartellino. Al momento l’unica speranza di fermare la banda di Sarri, per gli altri, sembra quella di radunare una squadra nata sotto il prefisso 081. Telefonare Napoli.

Due all’attentato ai polmoni di Maurizio Sarri di Hysaj. Siamo nei minuti finali del primo tempo, pallone in verticale dell’albanese che manda praticamente in porta Lazovic. In quel momento, in quel preciso momento, se Maurizio avesse avuto un palloncino tra le mani sarebbe stato più terrificante di Pennywise. Non osiamo nemmeno immaginare la quantità di nicotina necessaria al tecnico negli spogliatoi per evitare di commettere un omicidio. Siamo sicuri che Elseid, la prossima volta, ci penserà bene prima di commettere un simile orrore/errore.

Tre minuti in campeggio in zona corner. Giaccherini e Mertens scambiano la bandierina di Marassi per la litoranea di Gatteo Mare, fissano nel terreno i picchetti della paura e montano la tenda delle certezze in attesa di qualche turista svedese. Sembrano Gigi&Andrea in un meraviglioso B-Movie degli anni ’80, con la spensieratezza di chi non vuole in nessun modo valutare l’idea di regalare anche una sola possibilità al Genoa. Al fischio finale ci scapperebbe anche la canzoncina “È tanto che aspettavo un’occasione così”. Ed il Napoli farà di tutto per non lasciarsela sfuggire

Quattro minuti bastano al recidivo Taarabt per bucare la porta azzurra. Il fatto potrebbe creare turbamenti come Sharon Stone che accavalla le gambe in Basic Instinct, ma il Napoli non si scompone minimamente. Nel termometro delle emozioni nulla muta, nell’atteggiamento non appare ansia o preoccupazione. La testa resta alta, la mente sgombra, confortata da una grande coscienza di sé. C’è anche quel pizzico di meravigliosa arroganza, sembra di rivedere Matt Demon in Will Hunting che guarda numeri incomprensibili ad una lavagna e risolve l’equazione. Una forza che nasce dalla preparazione, dall’allenamento, dalla fatica. Una convinzione che è rivoluzione meritocratica nel paese degli aiutini.

Cinque reti subite in tre gare, sulle sette totali (quindi due in sette gare), quando manca Raul. Dato sicuramente da contestualizzare, ma che porta in grembo un piccolo vagito di verità. Senza Albiol sono gli altri a perdere quelle certezze che lo spagnolo dispensa come l’Oracolo di Matrix. Una garanzia di rendimento che ci ricorda come il valore delle cose si manifesta con la loro assenza. Semplicemente fondamentale, come un apribottiglie ad una degustazione di vini.

Sei su sei on the road. A raccontare la magnificenza di questo Napoli è il cammino lontano da casa (solo quattro gare al San Paolo, la Juve ne ha giocate 6), quasi un visto sul passaporto che certifica di aver ormai raggiunto la piena maturità. Questa squadra ricorda Christopher Mccandless con lo zainetto in spalla ‘Into the Wild’, muovendosi a meraviglia in qualcosa habitat. Percezione accresciuta, capacità di adattamento che è garanzia per la sopravvivenza. “Nella vita quello che conta non è essere forti ma sentirsi forti e se vuoi qualcosa veramente datti da fare e prendila…”. Detto, fatto.

Settemila napoletani sugli spalti del Ferraris fusi come una lega di Adamantio con i fratelli genoani. Sciolti e forgiati in un blocco unico, metallo che si abbraccia dopo aver toccato un punto di non ritorno. L’altro pallone, quella che invoca il Vesuvio o che infanga la memoria di Anna Frank, dovrebbe arrossire dalla vergogna, rivedere le immagini di festa di Genoa come una lobotomia da lavaggio del cervello stile Kubrick. “Come è meraviglioso che non vi sia nessun bisogno di aspettare un singolo attimo prima di iniziare a migliorare il mondo”.

Otto a quel coniglio pescato dal cilindro da Amadou. In mezzo al niente, con qualche errore di troppo fino a quel momento, Diawara indossa lo smoking e si inventa quell’arcobaleno che si appoggia dolce all’orizzonte, senza nemmeno disturbare. Personalità ed incoscienza che si sfidano e che trovano un punto d’incontro. Come deve essere bello il mondo a vent’anni, visto dall’alto di quel pallone che accarezza le nuvole e poi arriva a destinazione. Come è leggera l’età di un ragazzo che zittisce chi pensa sia solo uno dinamico, dimenticando che può essere ancora più forte di quello che si pensa. 

Nove su dieci, roba da matti. In proiezione sono più di cento punti. Nella sostanza sono un primato mai ceduto, occupato abusivamente dall’Inter per qualche ora solo una questione temporale. Eppure parlano, dicono, contestano. Eppure qualcuno non ci crede o magari non ci vuole stare. Finisce sempre così, quando hai paura di qualcosa cerchi di sminuirlo. Dentro covano i dubbi, di chi probabilmente non ha una fede incrollabile. Nelle profondità si inquietano le serpi, che ancora una volta devono rispedire in gola il veleno. È un chiacchiericcio terrificante, un esercito del disfattismo che va lasciato fuori. Non aprite quella porta.

Dieci al gol su punizione di Mertens. È così bello da fare male, eppure… Eppure Dries ha fatto qualcosa di ancora più incredibile, leggendario, unico. Che merita un voto in più…

Dieci più a quello stop che dilata lo spazio temporale, apre una falla nelle convinzioni della scienza. A Genova Dries diventa Atlante, che tiene tutto il peso del mondo addosso, facendo collassare l’universo sul suo piede destro. Come San Francesco d’Assisi che ammansisce un lupo feroce con una carezza, Mertens riesce nell’impresa di placare la smania di un pallone impossibile quasi ipnotizzandolo, convincendolo a fermarsi con un tocco soave che ha il suono di un pennello che fa l’amore con una tela. Mani di un pianista che toccano i tasti di un pianoforte, polpastrelli che accarezzano le corde di una chitarra. La naturalezza del talento che si riversa in gesto che diventa incredibilmente semplice, oscurando l’immensa difficoltà del tutto. Una spolverata di lucida pazzia in una scatola di stupide convenzioni. “La vita umana non è nient'altro che un gioco della follia”. Dries non viene da Rotterdam come Erasmo, ma il suo Elogio resterà comunque memorabile. Proposta: Perché non fare una serie televisiva sul secondo gol di Mertens? Tipo dodici stagioni da sedici puntate a rivederlo sempre. Colonna sonora: FE-NO-ME-NA-LE di Gianna Nannini. In loop.