Da Zero a Dieci: il labiale rubato di Sarri, l’arroganza infinita di Allegri, la prostituzione legalizzata e la capocciata contro 30 milioni di gufi

19.03.2018 09:58 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
 Da Zero a Dieci: il labiale rubato di Sarri, l’arroganza infinita di Allegri,  la prostituzione legalizzata e la capocciata contro 30 milioni di gufi
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(di Arturo Minervini) - Zero a chi aveva dubbi. Non perché non siano legittima debolezza dell’animo umano, ma perché questa squadra non li meritava. Nessuno poteva mettere in dubbio che questo Napoli avrebbe lasciato al suolo fino all’ultima goccia di sudore, provato ad andare oltre i propri limiti, che spesso sono solo paure. Ballando sul confine tra paura e speranza, anche rischiando la caduta muovendosi a tentoni nell’ignoto (e contro l’ignoto). Dubitare è come il ‘cogitare’ di Cartesio, è certificazione dell’essere. In certi casi, però, può esserne una limitazione. Nessuno dubiti più che questo Napoli possa giocarsela fino a quella data segnata in rosso sul calendario al 22 di aprile.

Uno come un minuto di silenzio che non basta mai. Luigi Necco non lo conoscevo, ma in realtà è come se lo conoscessi da sempre. È entrato in casa mia quando ero bambino, con la sua faccia rassicurante e quella simpatia che ti sembrava di avercelo proprio nel mezzo del tuo salone a raccontarti di Diego e di quel Napoli che era meraviglia assoluta. Un Campione in mezzo ai Campioni di un Napoli Campione: tutti con la C maiuscola, perché a quei tempi la grandezza non si misurava con i Like, ma con la professionalità, l’onestà, la preparazione. Luigi Necco non ha mai smesso di raccontare, osservare, analizzare anche quando gli occhi erano stanchi, il cuore non ha mai perso la purezza che lo ha fatto amare da tutti. Io l’ho amato, dal primo giorno che si è piazzato nel mio salone con la sua faccia che mi ha fatto amare un calcio romantico di cui, Necco, sarà sempre eterno ricordo. Buon viaggio anche a te. Chi non c’era al tuo ultimo saluto, non sa cosa si è perso.

Due punti dalla Juve, dopo l’opera di carità che Allegri ha fatto alla Spal. Parole imbarazzanti del tecnico, che dice “Abbiamo fatto un’opera di bene” dopo lo 0-0 ferrarese. Roba che se l’avesse detto Sarri, sarebbero stati attivati i protocolli anti-crisi a livello internazionale, avviate inchieste parlamentari e scatenato ogni sfigato a caccia dei suoi quindici minuti di celebrità in stile Andy Warhol. Invece, se parla Max, tutti muti. Poi dicono che la prostituzione non sia legalizzata… 

Tre punti ma non sono sporchi. Lasciateli perdere quelli che parlano di un Napoli bruttino, sono gli stessi che dal loro cassetto delle banalità avrebbero parlato di squadra cinica se i colori delle maglie fossero stati diversi. A tratti il Napoli ha fatto il suo gioco, ha colpito due legni al termine di azioni manovrate, si è perso una goleada nel piccolo atto di egoismo di Mertens in avvio gara che avrebbe dato altro volto al match. Questo Napoli però c’è. Nelle gambe, nella testa, nel cuore. Ed anche un pochino più in basso. 

Quattro minuti e Maurizio Sarri dopo una palla persa banalmente, si avvicina con la diligenza del buon padre di famiglia ai suoi ragazzi e gli sussurra: “Stiamo calmi eh. Stiamo calmi”. Tutto quello che è un padre, spesso in punta di piedi. Spesso nascosto ad osservare come cresce la sua creatura. Lasciandole la libertà di sbagliare, di rialzarsi, di imparare dai segni sulle ginocchia. Nel giorno del papà, Maurizio si conferma essere ancora una volta il padre migliore per questo Napoli. Una mano che ti tocca la spalla, una forza nascosta come la foto di un figlio dentro ad un portafoglio. Auguri Maurizio. Auguri padre. 

Cinque a qualche sbavatura che poteva costare un prezzo troppo alto. Lazovic nel primo tempo, Pandev nel secondo potevano cambiare l’inclinazione del match, rendendolo ancora più in salita. Dettagli che non possono essere trascurati in questo rush finale, dove a fare la differenza sarà la cura del particolare. Bisogna essere pignoli come il Giovanni di ‘Tre uomini ed una gamba’, non lasciare nulla al caso. Staccare la spina, anche per un solo secondo, potrebbe consegnare alla storia un finale differente. 

Sei tre come gli anni che avresti compiuto. Oggi è San Pino Daniele, protettore di tutti i malinconici, nostalgici e sognatori. E come ogni giorno ci manca un po’ di più, la poesia che nasce accarezzando la sua musa con le corde parlava sempre di noi, di tutti i nostri giorni con alti e bassi. Pino era così bravo a raccontare noi che risulta impossibile raccontare lui, così oniricamente disincantato dinanzi ad una realtà che gli piaceva sempre meno. Dentro ogni ora ci sono le sue parole che mischiano ad un mondo che va troppo di fretta e, proprio per questo, rischia di perdere la sua vera anima... Prestaci qualche parola Pino, lasciala da qualche parte mentre dormiamo. Ne avremmo tanto bisogno. Pino non è morto, ci raccontano una bugia. Pino ha semplicemente cambiato forma, una colata di poesia che ha ricoperto Napoli e tutti noi. Fusione ad alta temperatura, che resiste al tempo. Pino è su ogni muro, nelle mani di chi ha affidato a lui la speranza di ritrovare un amore perduto. Pino è nelle cassette custodite come reliquie, con le canzoni scritte a mano con una penna nera. Pino è domani mattina quando scendi le scale per andare a lavoro. Pino è dentro questo telefono, con una cartella sempre e solo per lui. Pino è soprattutto nella testa, quando cerchi le parole giuste da dire, il modo migliore per descrivere uno stato d'animo. E ti viene sempre in mente una sua frase... Ci vediamo dopo Pino. Ci vediamo sempre. In regalo ti portiamo questo Napoli, che avrebbe fatto emozionare anche te e Massimo, tu alla chitarra, lui a raccontarlo.

Sette al piedino di Josè. Educato, rispettoso, costante. Lo spagnolo firma il sesto assist nelle ultime nove gare, il nono del suo campionato. Una SPALla su cui appoggiarsi, una garanzia di rendimento anche quando le acque sono mosse. Imperturbabile Callejon, come lo sguardo di pietra di un divo del cinema. Forte nelle sue convinzioni, consapevole nella forma di intelligenza superiore di riconoscere la scelta giusta da fare, anche quando questo significa non rubare le prime pagine dei giornali. Il concetto di SQUADRA fuso dentro un essere umano. Una sineddoche, che racchiude una parte per il tutto.

Otto a chi riesce ad andare oltre il fato che due volte mastica i tuoi sogni e poi li rispetta come una cicca masticata. Potresti perdere dedizione, forza, volontà. Rischi di essere divorato dal vizio dell’accidia come Petrarca. Rischi di caricare a testa bassa, facendoti accecare dalla rabbia come quando pensi di aver trovato parcheggio e invece c’è una Smart. C’è sempre una smart. Il Napoli resta calmo alla guida, non sbraita ed invoca giustizia divina. Gira, rigira, poi trova lo spiraglio dove infilare il suo ago per continuare a cucire questa favola. La pazienza è una gran virtù. La guerra la vince chi sa anche aspettare. 

Nove tappe allo striscione finale. Nelle gambe chilometri macinati che hanno un sapore di nostalgia, davanti la vetta di una montagna che ha il gusto dell’impresa. In vetta c’è quella cosa lì, a tre colori. Sui pedali si imprime tutto quello che resta, i polmoni sono un braciere che sacrifica ossigeno alla causa. C’è poco da fare calcoli, non serve nemmeno voltarsi alle spalle perché dopo Juve e Napoli c’è il nulla. In questo turno gli azzurri hanno ripreso per mano il loro destino, affidato alle loro gesta l’esito dell’impresa. Vincendole tutte, sarebbe matematicamente tricolore. Vincendole tutte, sarebbe una gioia da impazzire. 

Dieci all’ascensione di Albiol. Purificazione dello spirito, lavaggio dalla iattura di una serata con 60 milioni di occhi puntati in modalità gufo. Un raggio di luce irradia lo stacco dello spagnolo, finale architettato da un deus ex machina che vuole dare ancor più senso tragico a questo campionato. L’altruismo di Arek, le paure di Insigne rendono ancor più adrenalinico il finale. Non sappiamo bene cosa ci sia sulle nostre teste. Cosa osservi muoversi quel pallone. Sappiamo che qualche segnale ultraterreno è stato lanciato. Sappiamo, soprattutto, che se per una volta la giustizia dovesse trionfare, questa capocciata di Raul sarebbe tra i ricordi più preziosi di questa annata che si meriterebbe un lieto fine. La meritocrazia è defunta da tempo in questo paese, il Napoli potrebbe essere uno spot per riportarla in auge.