Da Zero a Dieci: lo schifo di un Derby inventato, lo spettacolo indegno dei moribondi, la Fabiàn-Cam e la fila per le scuse ad Arek

17.12.2018 12:37 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: lo schifo di un Derby inventato, lo spettacolo indegno dei moribondi, la Fabiàn-Cam e la fila per le scuse ad Arek
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

(di Arturo Minervini) - Zero al processo rimandato. A quelli che ‘Troppi cambi’, che se ‘Segni al 91’ sei fortunato’ ma quando lo subisci al 91’ a Parigi dicono ‘che eri distratto’. Senza mai equilibrio, una bilancia che pende da un lato solo, portatori di veleno superiori dell’Amanita muscaria. Funghi da estirpare, vinti dalla logica esclusiva del risultato senza alcuna analisi costruttiva. Sei bravo se vinci, sei un coglione se non vinci. Questo l’unico metro di giudizio che riescono ad applicare ad una partita di calcio, tradendone la meravigliosa complessità. Immaginate l’amarezza nel dover cancellare tutti gli atti d’accusa e mettersi la maschera delle felicità, quando nella testa non vedevi l’ora di rinfacciare i troppi cambi ad Ancelotti. Carte conosciute. 

Uno alla visione soggettiva e curiosa di Maran. Come Gregor Samsa capovolto nel suo letto, il tecnico del Cagliari vive una metamorfosi concettuale tutta da seguire. Il testo sarebbe più o meno questo: “Rolando Maran, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto. Ebbe l’ardire di narrare di una punizione dubbia e di recriminar del tempo perso nel recupero”. Kafkiano nell’esposizione di concetti che esulano dal ragionevole dubbio e si trasformano in una sola cosa, per la quale serve musa meno illustre ma altrettanto geniale. Come disse ‘Er Pomata’ in Febbre da Cavallo: “Questa è la più grande stron***a da quando l’uomo inventò il cavallo”.

Due rigori richiesti dal Torino, uno discutibile l’altro meno. Zero quelli fischiati, ma contro la Juve nel periodo natalizio è meno sorprendente di un maglione con i rombi sotto l’albero. Altra picconata sulla credibilità di un sistema, statua ormai ridotta alla parodia di quella che era. Una Venere di Milo senza braccia, gambe, busto, di cui sopravvive solo una mente probabilmente diabolica. Di questa sudditanza non bisogna mai stancarsi di parlare, perché come disse un ispirato Mourinho: ‘Sono stati i silenzi a creare Calciopoli”. Urliamo, urliamo forte. Urliamo sempre più forte, primo o poi qualcuno ci sentirà a e si renderà conto che al gioco delle tre carte non ci vuole giocare più nessuno una volta scoperto il trucco.

Tre punte per i tre punti. C’è voluto l’azzardo finale a minare le certezze del Cagliari, un tridente che si è cercato, ha battibeccato per una punizione poi risolutiva, trovando forse in questo ulteriori stimoli. Esperimento che può diventare più frequente, considerata la crescita esponenziale di Milik ed il talento intangibile di Insigne e Mertens. Spunto di riflessione interessante sul piano tattico, una convivenza tutt’altro che forzata, quasi spontanea, di tre che leggono la musica dagli stessi spartiti. Rubando la teoria di un illuminato Jerry Calà: “Le amiche delle amiche, sono come le amiche”. Per tre di questo livello calcistico, vale lo stesso principio.

Quattro all’ostilità ingiustificata del pubblico cagliaritano. L’amico non geniale che nessuno ha mai chiesto, cercato, riconosciuto. Un derby che non esiste, come essere fidanzati con una ragazza ma lei non lo sa. Ci hanno autoimposto questa rivalità che per i napoletani non ha ragione d’essere, come una margherita fuori dai confini di Napoli. Ci avete attaccato sopra il vostro odio, i luoghi comuni squallidi, quel razzismo che tirate fuori solo quando siete in massa, perché a raccontare la vostra pochezza a quattr’occhi vi fareste schifo un pochino anche voi. Nella fitta sassaiola dell’ingiuria, l’accostamento più doloroso è quello di ‘Derby’ quando si racconta una sfida a Cagliari. Napoli di Derby non ne ha mai concepiti, perché non esiste altro Napoli all’infuori di Napoli. Però, visto che ci tenete tanto, vi salutano Lavezzi, Bogliacino ed Arek Milik. 

Cinque sorprese, facciamo anche sei. Non è più un toto-formazione, è una partita di Shanghai dove vengono mescolati calciatori come bastoncini di legno. Non c’è però il fato a guidarne la caduta, ma la mano sapiente e lungimirante di un’orientale nato per sbaglio a Reggiolo. Maestro Zen con il viso buono che potrebbe recitare alla perfezione una di queste massime: “La nostra vita è lo strumento mediante il quale compiamo esperimenti con la verità”. Già, esperimenti e verità che si fondono nel Napoli che non vuole lasciare nessuno indietro, che non calpesta chi ha vissuto momenti di difficoltà ma li attende, li accoglie, gli concede l’occasione di redenzione calcistica. Un pizzico di Miyagi una spolverata di Taipei ed il maestro perfetto è servito.  

Sei come numero che è inno alla normalità. Un ritorno al passato nel futuro di Faouzi Ghoulam, ancora una volta titolare, ancora una volta in campo per tutta la gara. In una settimana tre presenze e duecento minuti giocati, una scorpacciata di calcio per chi era stato costretto a digiunare per troppo tempo. Una distanza da quel prato verde che aveva giocato con la sua vita che si colma in un istante, come in un naturale incastro tra due mani che tornano ad incrociarsi dopo essere state legate da un filo invisibile prima di ritrovarsi. Dita che si incastrano lentamente, inserendosi nelle insenature come barche che ritrovano il porto dopo un lungo viaggio in mare. É l’appagamento del pescatore, che ritrae le reti e trova riparo dagli affanni nel porre piede sulla terra ferma. Che spettacolo rivederlo al suo posto.

Sette a Fabiàn. A tutto quello che fa, a come lo fa, a quello che prova a fare anche senza riuscirci. Il numero sulla linea di fondo farebbe invidia ad un movimento di Allen Iverson ai tempi d’oro di Philadelphia: palla c’è, palla non c’è, palla riappare magicamente. È un talento coltivato dalla letteratura calcistica questo iberico che sembra, come dicono gli anglofoni, un Freak of Nature: un meraviglioso scherzo della natura, una commistione di tanti generi dentro il corpo di un giocatore di basket che si muove in punta di piedi come Roberto Bolle. Ci vorrebbe una Fabiàn-Cam per rendere onore ai movimenti, alla sagacia, alla futuribilità di ogni sua giocata. Bello, che balla, che cammina, che accelera, che dribbla. Bellezza totalizzante.

Otto punti di distacco. Un tormentone che non è però tormento, perché il Napoli fa corsa solo sul Napoli. Non può essere altrimenti, per la forza dell’avversario, per il contesto in cui l’avversario agisce. Era importante reagire, dare una spallata al destino che ancora una volta si era messo di traverso nella brutta trasferta inglese. Una cosa appare però chiara: questa squadra ha nel dna il gene della pazienza, ha cullato nella testa la vocina che ti dice che puoi ancora farcela, che è finita si dice solo alla fine. Non il caso, ma è la volontà ferrea ti porta a segnare 12 volte negli ultimi 15 minuti di gioco. È un Napoli che ama i finale a sorpresa: al confronto ‘I soliti sospetti’ è un film banale.

Nove più uno: 91 minuti passati con tuffi, lamenti, tormenti come tanti fraudolenti inseriti nel canto XXVI dell’inferno di Dante. Invece di considerare la loro semenza, i calciatori del Cagliari erano impiegati nel provare a distruggere il gioco del calcio, senza seguire né virtute, né canoscenza. La frode che per contrappasso si rivela pena nel finale di gara, con il Napoli che riesce ad infliggere il contrappasso con la parabola allegorica di Milik. È il tempo della giustizia che si afferma, è anche il tempo per il mondo del calcio di riflettere sullo spettacolo offerto e sull’inserimento del ‘tempo effettivo’ come rimedio a queste improvvise epidemie che puntualmente svaniscono quando il risultato cambia. Ma come pensate di vendere all’estero questa oscenità? 

Dieci ai piedi schierati come un compasso che vuole disegnare un cerchio perfetto, che vuole chiudere il cerchio con il passato. “Non è la paura a governarlo, ma solo l'irrequietezza, un'accresciuta percezione delle cose”. Mentre nella testa lo disegna quell’arcobaleno, cade pioggia tra i pensieri che solo il preludio all’esplosione dei colori nei pensieri. Sole, mare, argento, Luna. Ci sono tante di quelle emozioni in quel sinistro che parte già perfetto dal piede di Arek che si rischia di finirne travolti. L'urlo di dolore che ormai è lontano, il ruggito rabbioso di chi è ufficialmente fuori dal tunnel. Mettete da parte le chiacchiere, godetevi quel silenzio che piomba gelido nello stadio di Cagliari. Amore che soffre. Amore che nasce. E suda. E dura. Per sempre. Vorrei che questa bellezza vi si spiaccicasse sul muso come è accaduto a me rivedendo quella rete. Il problema è che mancheranno il profumo, il vento, i riflessi e quella meravigliosa nostalgia che questo Napoli sforna come fosse pane caldo. Questi colori che raccontano e condizionano gli umori di una settimana intera. Il sapore buono di chi può gioire, dopo una terribile sfortuna, meriterebbe almeno una stella Michelin. Chiamatelo Chef Arek. E, siete ancora in tempo, porgetegli le vostre più sentite scuse. Prevista più coda che sulla Salerno-Reggio Calabria alla vigilia di Natale.